La Siria e la pace che passa per la riconciliazione

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La “terza via” della diplomazia della pace in Siria passa dall’iniziativa “Mussalaha”, ovvero riconciliazione. Mussalaha è un movimento nato spontaneamente dalla società civile siriana, che sta riscuotendo la fiducia di tutte le parti in lotta, di famiglie, clan, comunità diverse, di settori del governo e dell’opposizione armata. Gli esperti la chiamano “track two diplomacy”, diplomazia del secondo binario. È una diplomazia parallela, che si fonda sulle comunità, sulle relazioni di prossimità, più che sull’accordo diplomatico delle parti in lotta. Spesso sono comunità religiose quelle che portano avanti questo tipo di diplomazia. E c’è molta componente del mondo religioso anche in Mussalaha, i cui movimenti sono seguiti con attenzione dalla Santa Sede, preoccupata che la situazione in Siria non possa deteriorarsi. Tanto che Benedetto XVI per ben due volte in poco più di un mese ha fatto apelli pubblici perché in Siria tacciano le armi e si trovi una soluzione pacifica al conflitto.

 

Che la soluzione pacifica possa passare da Mussalaha, ci crede anche l’agenzia Fides, legata alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, che ne sta seguendo passo dopo passo le “imprese”.  L’ultima – riferita a Fides da “fonti locali” – è un accordo firmato il 30 luglio “tra le forze dell’opposizione di Qalamoun e i rappresentanti di Mussalaha di Yabroud, Qâra, Nebek e Deir Atieh e dintorni”.

La regione di Qalamoun è un’area di altopiani situata tra Damasco ed Homs che comprende i villaggi cristiani di Maaloula (dove si continua a parlare l’aramaico, la lingua vernacolare di Gesù) e di Saydnaya (dove è collocato il Santuario della Madre di Dio) oltre agli antichi monasteri di Santa Tecla, Mar Touma, Mar Moussa e Mar Yakoub. Lì le religioni hanno un ruolo importante: la maggioranza della popolazione è sunnita, ma vi è pure una forte presenza cristiana che è rispettata grazie ad un patto che risale di tempi di Saladino.

Diversi villaggi della regione si erano proclamati “indipendenti”, paralizzando le istituzioni statali (comuni, stazioni di polizia, tribunali) e della vita civile (con scioperi diffusi e permanenti). Non c’è stata solo la disobbedienza civile. A questa si è aggiunta una insurrezione armata: i miliziani hanno attaccato postazioni dell’esercito, ma anche alcuni civili ritenuti vicini al governo o troppo concilianti con il regime. Il disordine ha  favorito bande criminali, che ne hanno approfittato per rapire persone a scopo di estorsione ed effettuare rapine contro fabbriche, depositi, negozi.

Ma l’accordo firmato il 30 luglio dovrebbe mettere fine a questa situazione. Questi i termini dell’accordo: l’opposizione rinuncia all’opzione militare, e, quindi, vieta ai suoi membri di attaccare le forze governative, militari o di sicurezza e i civili, depone le armi e rimette la sicurezza nelle mani dello Stato; il governo continua a dare alla popolazione civile la libertà di esprimersi democraticamente attraverso manifestazioni e sit-in . I primi effetti immediati sono stati la liberazione dei prigionieri politici che non si sono macchiati di delitti di sangue e quella delle persone rapite a scopo politico o di lucro. L’accordo ha anche il merito di far riunire famiglie divise tra oppositori e lealisti. E ci tengono a sottolineare – le fonti di Fides – che l’accordo “dimostra ancora una volta la forza di persuasione della società civile che ricostruisce a partire dai capi tribali e di clan, con l’accompagnamento delle autorità religiose, un patto sociale che non può essere completo finché il rumore delle armi non si sarà spento in tutta la Siria”.

 

Intanto, la situazione siriana si complica di giorno in giorno. A livello internazionale, Russia e Cina, tradizionali alleati di Assad, si oppongono all’inasprimento delle sanzioni e anche a un cambio di regime che non preveda il consenso dell’attuale presidente della Siria. Dall’altra parte, gli Stati Uniti vorrebbero aumentare la pressione. In questo quadro s’inseriscono i tentativi di sostenere la resistenza contro Assad. E intanto, c’è la delicata situazione degli sfollati da monitorare, specialmente in vista del prossimo viaggio del Papa in Libano.

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