Cristianesimo, fede dei sì

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La fede come esperienza. È il filo conduttore della predicazione di Benedetto XVI fin dai primi momenti del pontificato. Una realtà che trova una sintesi bellissima nel titolo della prima enciclica, “Dio è Amore”. E l’amore non si vive a distanza, ma coinvolgendo tutto se stessi. Entra in gioco una prospettiva che da sempre caratterizza il cristianesimo, ma che nella fase storica attuale chiede di essere proclamata. Oggi, i credenti e la Chiesa sono chiamati in causa nel dibattito pubblico sempre in chiave polemica: le accuse di oscurantismo sui temi della famiglia, la presunta crudeltà della posizione contraria all’eutanasia, l’intransigenza sulla fecondazione assistita. I cristiani sembrano esistere solo se rispondono alle logiche della contrapposizione politica. Ma in tutto questo, cosa c’entra la fede? O meglio dove va a finire?

Domande cruciali, perché se si riuscisse a comunicare (e quindi a riflettere) l’idea di un cristianesimo come incontro con una Persona, molte barriere crollerebbero, insieme alle tante sovrastrutture e argomentazioni spesso viziate dal pregiudizio. In definitiva, è necessario comunicare che far parte della Chiesa non vuol dire essere dei militanti e che avere fede non equivale all’adesione ad una ricetta di indicazioni e comportamenti. Al contrario, significa vivere la dimensione degli innamorati. Solo in questa prospettiva, emerge con forza, la dimensione del sì: quella di Maria, quella degli apostoli e dei santi, la stessa di Cristo. È il dono della fede, capace di avvolgere mente e cuore, di mostrare il suo volto più vero e rispondere alla religione dei “no” che certi media vogliono alimentare.

Quante sciocchezze vengono raccontate, quanti tentativi per dare forza al divieto invece che alla proposta, al giudizio invece che all’invito, alla durezza del cuore invece che alla bontà, all’intransigenza invece che al sorriso. In definitiva, al negativo invece che al positivo. L’obiettivo è sempre lo stesso: tacere la dimensione di un Dio che non fa il giustiziere ma solo il padre, l’amico, il fratello. Quel Dio con il quale il rapporto personale si nutre e vive ogni giorno di grandi e genuini “si”.

Come detto, infatti, nulla accade nel cristianesimo senza un “si”. Non ci sarebbe neppure stato, il cristianesimo, quello autentico, senza il “si” umile e fiducioso di Maria all’annuncio dell’angelo Gabriele. E altra cosa sarebbe stato senza il sorprendente “si” di Pietro che contro l’evidenza dei fatti, sulla sola parola di Gesù, prende il largo e “getta le reti”.

Il cristianesimo è fatto di tanti “si”, che segnano le pagine del Vangelo e le pagine della vita quotidiana di ogni cristiano. Il “si” di Matteo che lascia tutto e segue Gesù, il “si” di Tommaso che infine crede al Risorto, il “si” di Zaccheo che accoglie in casa il Maestro, il “si” di Marta che alla morte di Lazzaro crede sinceramente in quel Gesù che le dice: “Io sono la resurrezione e la vita”.

E, oggi, il “si” giornaliero a Dio e al prossimo del missionario che vive nella povertà o del parroco che aiuta la sua gente, il “si” costante e reciproco degli sposi che crescono i figli o degli innamorati che fra mille difficoltà costruiscono un futuro. Un sì che equivale a disponibilità, fiducia, affidamento, speranza. Insieme alla gioia, la gioia sapiente di chi vive la vita dando al passato – e a tutto ciò che esso ha significato – il giusto peso. L’esatto contrario di una fede che opprime, schiaccia e non fa respirare, capace di controllare l’anima e il corpo, impedendone ogni libero movimento e indirizzandone ogni minimo passo. Che in ogni aspetto della tua vita interviene per mostrarti con superbia l’errore, la mancanza, la tua inadeguatezza.

Un’evidente distorsione, eppure ancora così presente tra tante persone. C’è quindi un margine di annuncio gioioso da riempire, non tanto con le parole, ma piuttosto con la credibilità della testimonianza. Ha detto una volta Ernesto Olivero, fondatore della fraternità della Speranza del Sermig di Torino: “Se sono una rosa profumata, il profumo si espande ovunque. Se invece, sono una rosa di plastica posso incantare chi voglio, ma il profumo non viene fuori. Soltanto dalla credibilità nascono l’evangelizzazione e il dubbio per gli altri. La gente deve poter dire dei cristiani: ‘Guardate come si vogliono bene!’. Se non avviene questo, possiamo fare mille concerti, pubblicare liberi e trasmettere speciali televisivi, ma nessuno ci crederà”. La fede come profumo…

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