Il reportage. Cina, maiale più tetto uguale casa
“Per imparare a scrivere in cinese devi capire cosa vuol dire essere cinese”, mi dice la mia insegnante di mandarino. “Guarda”, e con la mano scrive dei bellissimi caratteri sulla lavagna. “Nǚ vuol dire donna, perché ho disegnato una donna inginocchiata vedi: 女, che asseconda la volontà del marito” – e se la ride – “era così una volta, ora le cose sono cambiate”, prosegue ridendo. In cinese non si “scrive”, si disegna la parola.
Basta entrare nella mentalità: “donna più cavallo è la mamma, maiale più tetto uguale casa”. Sono confuso ma divertito. La mia casa è a Dongwangzhuang, che si trova a Wudakou, un’area famosa perché sede di famose università tra cui la Tsinghua (dove si è formato l’attuale presidente della Repubblica Popolare Cinese, Hu Jintao) e l’Università di Lingue e Cultura di Pechino, famosa perché punto di riferimento degli stranieri che vogliono studiare il cinese.
Dongwangzhuang è una sorta di piccolo villaggio, un’area recintata con tanto di guardie in ciabatte e divisa grigio-verde di due taglie più grande, che li fa sembrare scolaretti intenti a copiare i comportamenti dei grandi. I palazzi sono a sei piani, ma alti quanto i nostri di quattro, rossi e bianchi con una spessa coltre di polvere e smog, quasi tutte le finestre hanno inferriate anti ladri e anti fuga in caso di incendio, i palazzi sono numerati. Io vivo al diciotto, al secondo piano e appartamento numero due-zero-due: mi diverte usare ogni volta al telefono questa trafila di numeri per ordinare il cibo.
La stanza che affitto è essenziale e ben illuminata, dà su un giardino dai mille volti dove mi passa davanti la quotidianità cinese; un materasso matrimoniale per terra, l’armadio e una sedia sono del proprietario di casa, la scrivania e la libreria sono stati comprati al mercato delle pulci da Fred, il mio coinquilino. L’appartamento offre poco più: cucinino con balcone, bagno-doccia, salotto-ingresso e un’altra stanza dove vivono Fred e Sandy.
Che storie le loro: francese lui, 26 anni, proveniente da una ricca famiglia, formatosi in scuole americane in svizzera, ha girato il mondo prima di approdare definitivamente in Cina qualche anno fa, istruttore di arti marziali e insegnate di inglese; Sandy: cinese di Shanghai trasferitasi a Pechino per amore, 26 anni, fashion designer nel campo della moda, parlucchia l’italiano ed è ben contenta di avere un madre lingua in casa, vivono nella stanza di fronte alla mia e – cosa che mi colpisce di più – dormono su un tatami da palestra, un materassino di plastica alto cinque centimetri, sono dei piacevoli compagni di serate tranne durante le sempre più spesso litigate di coppia a suon di lanci di vestiti e dvd per la casa.
Le regole di una casa cinese sono poche e semplici, all’inizio strane ma anche qui è questione di entrare nella mentalità: la carta igienica dopo l’uso va buttata in un apposito cestino e non nel posto che uno pensa più logico, in cucina si usano due pentole: una per far bollire l’acqua e l’altra, la wok la pentola tradizionale cinese, per cuocere di tutto dal pesce alle verdure. Il riso si mette in una specie di pentola elettrica con coperchio, che lo cuoce e lo tiene caldo per tutto il giorno; per 15 Yuan (1 Euro circa) viene una volta alla settimana, per due ore, la signora delle pulizie.
Per tutto questo pago 1400 Yuan al mese, luce-acqua-gas-internet e un accenno di pulizie, compreso, sono circa 136 Euro. Uscendo da Dongwangzhuang con una bici comprata per strada a 100 Yuan, circa 9 Euro, mi rallegra pensare che nella mia jiā, casa, alla sera ci sono tre maiali sotto un tetto.
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