Chiesa di tutti e particolarmente dei poveri
Tredici gruppi di studio hanno arricchito con proposte e testimonianze gli Stati Generali degli Amici dei poveri, convocati dalla Comunità di Sant’Egidio a Napoli sotto il titolo di ‘Chiesa di tutti, particolarmente dei poveri’. Nel lavoro dei 13 gruppi di studio, sono state affrontati diversi aspetti della povertà, e sono state ascoltate molteplici testimonianze. Ma da questo confronto sono anche emerse alcune proposte concrete: la prima è un appello perché siano presto riviste le norme sulla cittadinanza, anche alla luce della toccante testimonianza di Alessio, un ragazzino romano di 13 anni, figlio di un sud sudanese e di una salvadoregna: “Mi hanno detto qualche tempo fa che io per la legge non sono italiano. Mi sembra assurdo. Non riesco nemmeno a pensarmi di un’altra nazionalità”. E’ urgente che la politica dia presto risposte a lui e alla sua generazione. Un’altra proposta emersa è quella di favorire il più possibile forme di detenzione attenuata, magari in strutture legate all’associazionismo civile e al volontariato, per le mamme con bambini piccoli, costretti oggi a vivere in carcere. Infine, molto suggestiva la proposta fatta dall’intellettuale rom Nicolae Gheorge, di stipulare un ‘trattato di pace’ tra i Rom e i non-Rom, per dare finalmente una svolta alla difficile convivenza nelle nostre città. Bisogna mettere fine alla diffidenza reciproca e iniziare una stagione nuova che porti alla piena integrazione di tutti.
Nel suo saluto ai partecipanti al Convegno il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, ha tracciato il volto di una Chiesa amica dei poveri: “Il Concilio ha raccomandato ai sacerdoti di essere fedeli compagni di strada dei poveri, perché la loro evangelizzazione è l’opera messianica per eccellenza”. Ricordando quando era segretario di nunziatura in Brasile e andava nelle favelas della capitale a distribuire latte e acqua filtrata ai baraccati, il cardinale ha detto: “La Chiesa deve riconoscere nei poveri e nei sofferenti l’immagine stessa del suo Fondatore e vivere come ha vissuto lui, povero tra i poveri e che ha dato la vita per i suoi amici… Questo è un tempo in cui tutto si chiude! Perciò, mentre tutto si chiude, la Chiesa deve aprire: aprire ogni giorno una nuova porta, che sia quella di una chiesa, di un centro di ascolto, di una casa che accoglie. Soprattutto deve aprire le porte del cuore. Solo così sarà possibile vincere anche battaglie impossibile. Chi è amico dei poveri è amico di Cristo e chi è amico dei poveri di Cristo, è amico della Chiesa”.
Il Presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco Impagliazzo, nella sua relazione si è chiesto se la frase pronunciata da Giovanni XXIII un mese prima dell’inizio del Concilio e che è stata scelta come titolo, fosse ancora attuale: “Essere Chiesa dei poveri è l’autorealizzazione della Chiesa stessa. La Chiesa è per tutti, è di tutti e particolarmente dei poveri. Anzi, la Chiesa sarà di tutti, quindi universale, se sarà dei poveri. Partendo dai poveri si arriva ad abbracciare l’umanità intera”. Uno dei sogni del Concilio sulla Chiesa era stato quello di tornare alla semplicità evangelica, abbandonando le ricchezze. Impagliazzo ha ricordato quando, nel 1964, papa Paolo VI, durante una messa concelebrata a San Pietro, depose la tiara papale sull’altare come offerta per i poveri. Introducendo le due dimensioni del legame tra Chiesa e povertà il presidente di Sant’Egidio ha detto: “I fratelli di Cristo povero usano mezzi poveri e amano i poveri”. Questo stile di vita è ancora attuale ed è ancora ‘profezia’ per il nostro tempo: “E’ necessario operare un balzo costruttivo nella coscienza delle nostre comunità nella società italiana. Stiamo vivendo una difficile transizione nel nostro Paese. Lo Stato è più povero di ieri e il ‘welfare state’ non riesce a resistere in una crisi così forte”. Tuttavia, è sbagliato contrapporre solidarietà e risorse limitate, come spesso si tende a fare, perché questo “crea un’attitudine a non considerare la solidarietà come componente preziosa della vita sociale. La solidarietà è un fatto di cultura, di visione del mondo e non è solo legata alle risorse. E’ molto di più delle risorse!”.
Paolo Ramonda, successore di don Oreste Benzi alla guida della Comunità Giovanni XXIII, ha ricordato come la Chiesa è chiamata sempre a rivedere la sua impalcatura istituzionale, perché non si appesantisca: “Tenere l’essenziale, il resto è per i poveri; ci sono poveri che ci vengono a cercare, ma ci sono anche i poveri che non possono aspettare… I poveri sono i protagonisti della storia di Dio e della Chiesa, artefici di una rivoluzione di giustizia e di amore”. Significative anche tre testimonianze: dalla Grecia Kostis Dimtsas, Presidente di ‘Apostolì’, un movimento ecclesiale nato nel cuore della Chiesa ortodossa, che ha fornito i numeri del loro impegno di solidarietà ad Atene ed in altre città della Grecia: più di 12.000 pasti al giorno distribuiti, 3.000 famiglie aiutate con pacchi viveri, due supermercati sociali dove gli alimenti sono dati gratuitamente, unità mobili di assistenza medica: “l’unità europea si fa solo attorno all’amore per i poveri”. Eli Folonari, oltre cinquant’anni a fianco di Chiara Lubich, ha ricordato i momenti fondativi del movimento dei Focolarini, a Trento, sotto le bombe, nel ’43. Ha richiamato alla memoria “il piccolo Vangelo che Chiara portava con sé e leggeva nei rifugi e che poi cercava di mettere in pratica, pulendo la casa di un’anziana, aiutando un’ammalata a sfuggire ai bombardamenti”.