Avventura dell’ arte

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“L’arte non ripete le cose visibili, – afferma il geniale pittore Paul Klee – ma rende visibile ciò che non lo è”. L’arte più che imitazione è espressione. Esprimere è portare alla luce ciò che è nascosto, misterioso, ineffabile. L’artista crea per esigenze interiori di verità, per suggestioni di un cuore che esplode, per avventurarsi nell’infinita molteplicità delle sue impressioni-espressioni. L’arte non è nemmeno imitazione di modelli secondo canoni assoluti di bellezza da ricopiare o riciclare. L’arte è apertura verso una verità che è sempre in divenire, che è sempre da inventare e da riscoprire. L’arte è ascolto di sentimenti che aprono sentieri inesplorati nel mistico bosco delle mille idee verso una verità che fa sempre più passi in avanti per non morire nel già detto e nel già scritto. L’arte è processo di creatività e trasfigurazione di nuove luci, di variegati colori, di suoni inediti. Essa è soglia che nasconde e, allo stesso tempo, rivela: invisibile da svelare, rivelazione da velare. L’arte è tutta simbolica: mette insieme realtà di ordine diverso per poi sconnetterle in un continuo divenire tra equilibrio e lacerazione, tra concordanza e dissonanza, tra luce e ombra, tra suono e silenzio. L’arte è grembo creatore in cui si genera e si rigenera la verità. Essa è come la speranza: ricerca di quel che sarà e che si misura con l’invisibile e inesprimibile Mistero.

Certo, non si crea mai dal nulla! Nell’arte non si possono sempre inventare cose nuove per essere assolutamente originali. Feyerabend sosteneva che tutte le avventure della scienza, da Aristotele in poi, sono sullo stesso piano di ogni attività umana, nel senso che l’astrologia ha lo stesso valore dell’astronomia. Ogni produzione scientifica si distingue dalle forme artistiche perché gli scienziati sono vincolati a determinate regole. Ogni forma di creatività non è mai un fatto individuale, essa ha bisogno di “dialogo”. Ogni creatività musicale implica un dialogo che è capacità di donare e di accogliere, di parlare e di ascoltare, di agire e di reagire. Questa capacità di percezione dialogica la troviamo soprattutto nell’ambito dell’arte musicale. Gli specialisti affermano che l’antica querelle tra Bach e Haendel, l’uno fautore e l’altro avverso all’introduzione di una scala musicale regolarmente temperata. è sempre un fatto attuale in molteplici variazioni.

Nella storia della musica, dal tardo medioevo sino all’inizio del ‘900, cinque siano state le grandi “rivoluzioni” di contenuto formale: quella di Monteverdi, quella di Gluch, quella di Beethoven, quella di Wagner e, a suo modo, quella dell’impressionismo francese. Queste “riedificazioni sonore” ex novo, o si sono imposte subito, o hanno atteso del tempo per imporsi. Monteverdi, subito dopo la morte, era considerato già princeps musicae. Beethoven, considerato un pazzo, dopo un decennio dalla morte, godeva l’entusiasmo di tutta l’Europa musicale. Quasi identico è il caso Wagner. L’esperienza storica ci dice che in Italia, per quasi duecento anni, il pensiero musicale si era quasi fermato. Nell’‘800, per esempio, quando in Germania si “inventava” musica moderna con Beethoven, Wagner, Schonberg… l’Italia aveva Rossini, Verdi… musicisti eccellenti, con opere di altissimo livello e universale comprensione, ma non “in evoluzione”. La musica di Monteverdi non è meno progredita di quella di Debussy.

Anche nell’arte letteraria, a parte Leopardi, si avverte la stessa cosa. Van Gogh, nei suoi dipinti, ha lampi di genio straordinari. Nella creatività musicale, insegnano i grandi maestri, le regole sono fatte per essere “violate”. Certo, se un artista non è creativo, non può esserlo studiando solo “regole compositive”. Nel dopo guerra, l’esperienza della musica contemporanea, detta “seriale”, è dominata dall’ideale della perfetta unità; tutti gli elementi della musica, infatti, sono attratti da una sorta di forza di coesione. Webern, nei suoi lavori, è maestro di quest’arte compositiva. Lo studio dei compositori d’avanguardia ci spinge così a riflettere sulla questione dell’obbedire o del disobbedire alle “regole d’armonia” e ai “canoni compositivi”. E’ chiaro che l’obbedienza o la disobbedienza è sempre in rapporto all’ideale di ordinato equilibrio dello stile e delle forme musicali. Beethoven, nel momento creativo, “disobbediva”, a suo modo e da par suo, al codice compositivo classico rendendolo così più vivo ed efficace. Disobbedienza e creatività, quindi, non per un’arte banale, consueta e ripetitiva di modelli secondo canoni già prefabbricati, ma per un’arte in processo di creatività che produce organismi vivi e nuovi. Rimane eloquente il commento con cui si espressero i reduci della “prima” alla Scala di Pelléas et Mélisande: “E’ diverso da tutte le altre cose, ma c’è dentro la musica!”.

Il dramma musicale di Debussy era stato rappresentato a l’Opéra Comique nel 1902. Esperienze nuove sì, ma che respirino autentica arte musicale! Un esempio di originale arte interpretativa si trova nel grande violinista Isaac Stern. L’interprete suona Mozart in maniera insolita perché nell’esecuzione vi proietta esperienze di natura romantica. Sembrerebbero gesti di arbitrii illogici, ma in realtà sono espressioni assolutamente normali. Certo, la tecnica nell’arte è fondamentale, ma solo chi la possiede può permettersi persino di dimenticarla. Il grande esecutore chiude gli occhi e suona! Solo chi padroneggia la tecnica in modo perfetto può permettersi di astrarsene per creare capolavori. E’ cosa certa che il capolavoro definitivo per gli artisti non esiste, esso risiede soltanto nelle sapienti dita del Creatore di “tutte le cose visibili e invisibili”. La speranza del capolavoro, però, veglia nel cuore di ogni artista, donando senso ed espressività a ogni creazione che egli produce; questa luce lo fa vivere nell’entusiasmo della faticosa creatività artistica quotidiana e nella gioia di donare i frutti del proprio lavoro a chi li sa accogliere con intelligenza e apertura di cuore.

E’ chiaro che il vero artista non ha la vocazione di erigere musei per custodirli, anche se i musei sono fatti per custodire le opere degli artisti di ogni tempo. Questi sanno che l’arte è sempre infinita ed è realtà viva in divenire; l’arte, infatti, non può essere mai “conformista”, essa è paradossalmente “iconoclasta” perché nasce, vive e fiorisce nell’alveo fecondo della libertà e della novità, all’interno di una vita carica di fascino e di dramma. Occorre avere la certezza che non esiste un artista o un’opera d’arte immortale, sarebbe idolatria e paganesimo. L’artista autoesaltato in forma idolatrica, quasi vitello d’oro attorno al quale si danza e ci si inebria, scombina tutti quei rapporti che intessono dialoghi fecondi e sereni, che arricchiscono e nobilitano coloro che lavorano con fatica e in entusiasmo per uno stesso fine. L’artista idolatra non usa un’arte che salva ma un’arte che distrugge. Quest’ultima è arte che celebra un anonimo dio “sacro” catalogato e ben definito come opera d’arte preziosa da museo nel vuoto di certa religiosità sociologica e istituzionalizzata.

L’arte che salva è la nobile bellezza che celebra Dio, il “Santo” vivo e vero, annunziato da Cristo e da noi creduto e appassionatamente amato come Lui ci ha amato e continua ad amarci. Il vero artista credente celebra il Dio di Cristo con la sublime novità dell’arte santa dell’Agape. L’arte antica, come quella moderna e contemporanea, appartiene alla storia in cui si vive giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. Il nuovo assoluto coincide con l’immutabile eterno. Per essere nuovi occorre rinascere ogni giorno, iniziare tutto da capo senza indugi e senza stanchezze, senza sentirsi mai appagati di ciò che si è conquistato. Anche nell’arte, quindi, bisogna camminare in novità di vita.

 

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