Corvescherie o giornalismo? Un libro per capire la professione del vaticanista
Corvi o vaticanisti? A mettere in piazza il problema è stato il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, salesiano, che ha puntato il dito contro il giornalismo alla Dan Brown. Lo aveva fatto anche il Sostituto della Segreteria di Stato, Angelo Becciu, focolarino, con un invito ad un sussulto di eticità. Dal 2 luglio in Terza Loggia del Palazzo apostolico è arrivato un americano, ex corrispondente della Fox, Greg Burke, membro dell’Opus Dei. Sarà dietro le quinte per sostenere la comunicazione vaticana. Qual è il male oscuro che pervade il giornalismo religioso? “Oggi non si va più in cerca di fatti, non si cerca di capire. Occuparmi di Vaticano mi ha insegnato ad andare a fondo, a studiare, ad avere pazienza. Per seguire le cose vaticane bisogna prepararsi, altro che corvi!” Parola di Benny Lai, tessera di accreditamento in Vaticano firmata da Montini nel 1951. Tutto parte dal Concilio Vaticano II, quando la Santa Sede ha dovuto inventare un modo di comunicare quello che sembrava incomunicabile: il dibattito dei Padri conciliari.
Vescovi e cardinali dopo ogni sessione tornavano a casa a confrontarsi con la realtà delle loro “Chiesa locali”, il Papa guardava e dirigeva, ascoltava senza intromettersi troppo. Andava raccontato alla gente che andava in Chiesa, ma anche, per la prima volta, al mondo esterno, ai laici, a chi la Chiesa non la conosceva affatto. Cosa è cambiato in questi 50 anni? Perché ormai l’informazione religiosa ha ceduto il passo alle veline, allo scoop, agli scandali, alla ricerca morbosa di presunte verità scomode dimenticando idee e contenuti? “Il Concilio ha obbligato tutti non soltanto i vescovo e i preti, ma anche i giornalisti a cambiare un metodo di approccio che era prima la notizia religiosa”. Gianfranco Svidercoschi ne parla a ragion veduta. Lui è stato uno dei grandi cronisti del Concilio, ha scritto più di un libro sulla Assise che ha cambiato il modo di conoscere la Chiesa. Anche grazie alla stampa. “Prima c’erano solo notizie paludate, che riguardava la cronaca dei palazzi vaticani e dei pettegolezzi anche se di un certo livello. Invece il Concilio ha obbligato tutti a proiettare la nostra attenzione sulla Chiesa Universale. Perché la Chiesa è formata da tante situazioni, realtà di tante persone. Ed è stato un crescendo anche grazie ai pontificati che si sono susseguiti. Bisognava raccontare anche il contrasto tra due opinioni, due tesi, due modi di intendere la Chiesa. Poi con Giovanni Paolo II c’è stata una estensione della universalità della Chiesa anche al ministero papale e quindi, dovendolo seguire, anche del lavoro dei giornalisti.”
E poi che cosa è accaduto? “ C’è stato un calo spaventoso fatto di banalizzazione. Sarà per la secolarizzazione, sarà un non pensare in maniera alta, sarà il grande individualismo che è subentrato, sarà il relativismo etico per cui ognuno si sceglie quello che gli pare e della religione si sceglie solo quello che sembra più opportuno dimenticando la parte che riguarda la responsabilità. L’informazione si è appiattita e i grandi temi sono sempre meno considerati, per cui si parla soltanto di scandali, conflitti e piccole cose. Si è tornati a parlare solo di pettegolezzi di palazzo e in modo ancora peggiore di prima del Concilio.” E poi ci sono le carte trafugate… “Una volta si cercava di ascoltare quello che usciva dai corridoi ovattati del Palazzo. Adesso invece c’è qualcuno che va a fotocopiare le lettere che arrivano al Papa, dal tavolo del suo segretario. C’è un abbassamento del livello morale anche di chi lavora all’interno del Vaticano. E poi le fughe, le anticipazioni, un errore mediatico. E sempre stato lo strumento peggiore per presentare le notizie.”
Le esperienze di Svidercoschi, Lai e tanti altri sono raccolte nel libro Giornalismo e religione (Libreria Vaticana 2012, pag.837, Euro 35,00), manuale, antologia e libro di storia curato da Luca Caruso, don Giuseppe Merola e dal direttore della Lev, professore di giornalismo ed editoria don Giuseppe Costa. Un capitolo a parte è dedicato alle foto. Le immagini raccontano un fatto così com’è come spiegano Giovanni Chiaramonte e le foto di quattro reporter di fama internazionale. “Si pensa erroneamente – dice don Costa- che la foto sia qualcosa di superfluo. In realtà è una informazione e una lettera ulteriore.” Ma cosa fa notizia oggi? Spiega a Tempi don Costa: “Il giornalismo è tale perché ha delle dimensioni sociali e delle regole. Senza questo il ruolo del giornalista non ha niente a che vedere con il giornalismo “watchdog”, capace di far rinnovare democrazie, stanare violenti e ladri. Quando la informazione diventa furto di notizie, diventa una coercizione verso un tipo di informazione e di interpretazione, siamo già al di fuori del giornalismo.” E il “corvismo”? “Si tratta di reati che vengono esclusi anche dal più agguerrito giornalismo d’inchiesta, che non ricorre ai servizi segreti o ai traditori. L’inchiesta è frutto di fatica e sudore del giornalista che racconta e descrive.”
Ma il diritto di cronaca? “Ovvio che la cronaca più è legata ad una personalità di spicco, conosciuta e criticata e più è saporita, ma si debbono fare i conti con i diritti delle istituzioni che vengono coinvolte. Ogni istituzione ha delle norme che vanno rispettate. Nel caso della Santa Sede si tratta di norme internazionali. Non si può trattare come il cortile di casa propria il cortile del Vaticano. Una volta il vaticanista era considerato come un inviato, con la crisi economica questo si è modificato, quindi meno inviati e meno qualità. I vaticanisti poi sono cresciuti e si sono sviluppati attorno ad eventi come il Concilio Vaticano II. Sono gli eventi che hanno fatto crescere i giornalisti. E se non si ha l’occasione di vivere questi eventi allora bisogna avere la pazienza di studiare. Fino agli anni 70-80 i vaticanisti sapevano leggere un’enciclica e distinguere ecclesiologia, dogma, cristologia, ora non ci si prepara. Inoltre il giornalista è lasciato solo con il direttore che pretende. Un esempio: il Corriere della Sera ha mandato una grande giornalista di cronaca giudiziaria a seguire i casi vaticani. Ma per ora non c’è cronaca giudiziaria. Ma è sintomatico il fatto che il Corriere ha chiesto di costruire qualcosa che ancora non c’era.”
L’articolo integrale è sul numero di TEMPI – 18 luglio 2012