La vigilia della GMG. Don Nicolò Anselmi: più formazione e consapevolezza per i giovani
Don Nicolò Anselmi è responsabile del Servizio Nazionale per la pastorale giovanile della Cei da appena 10 mesi. Sacerdote genovese, già referente per i giovani della diocesi, è arrivato a Roma in un anno cruciale: quello della Giornata mondiale della gioventù di Sydney, esperienza che coinvolge tanti giovani italiani, in continuità con l’Agorà di Loreto.
Lo abbiamo incontrato per fare il punto sul grande evento ecclesiale, ma anche per ragionare a tutto campo sui linguaggi e lo stile usato dalla Chiesa nel rapporto con le nuove generazioni.
La GMG vuol dire tante cose: aggregazione, festa, scambio culturale, ma soprattutto spiritualità. Qual è il tratto specifico dell’evento di Sydney?
“Da un punto di vista spirituale, c’è grande attenzione. Sono in gioco aspetti geografici, dal momento che l’evento australiano sarà unico. Al tempo stesso, registro un legame forte dei giovani verso Benedetto XVI. C’è un fascino particolare, legato anche ai recenti interventi del papa sui diritti umani e sulla grandi questioni del nostro tempo. Il suo modo di trattare temi complessi in una prospettiva culturalmente alta, quanto concreta, senza dubbio attrae”.
Per l’Italia, la GMG arriva a pochi mesi dal grande incontro dei giovani con il papa a Loreto. È possibile fare un bilancio sui frutti di quell’esperienza?
“Eventi come questi generano sempre grande vivacità e hanno riflessi nelle diocesi. Anche Loreto ha ridato slancio alle attività di una pastorale giovanile che in Italia esiste un po’ ovunque. Incontro dappertutto giovani che si impegnano e questo è un grande dono”.
Eppure, tanti giovani rimangono distanti. Quali sono gli aspetti da migliorare nel rapporto tra la Chiesa e le nuove generazioni?
“Il percorso triennale di pastorale giovanile ha fatto emergere tre aspetti: l’ascolto, l’annuncio e la cultura. Sono punti cruciali, a cominciare dal primo, su cui forse dovremmo fare di più. In sostanza, è necessario lavorare più a fondo sul protagonismo dei giovani. Penso che la pastorale giovanile del futuro debba essere più semplice e più definita. Ai sacerdoti sarà richiesto di essere maestri di fede di giovani, capaci di portare avanti in prima persona una pastorale di testimonianza. C’è poi la sfera dell’annuncio…”.
In cosa consiste?
“Come diceva Giovanni Paolo II dobbiamo realizzare una misura alta della vita cristiana. Nel mondo di oggi, o uno è cristiano con una certa serietà, oppure viene trascinato via da tutto il resto. Voglio dire che un giovane deve impegnarsi in modo coerente, anche curando l’aspetto culturale”.
In che modo?
“Bisogna dare spessore alla vita cristiana per essere in grado di interagire con la cultura di oggi, elevando di qualche gradino la proposta cristiana. In concreto, servono più formazione e consapevolezza, ma anche la conoscenza di un patrimonio grandissimo di riflessione, di santità, di valori meditati, di cui la storia della Chiesa è maestra. Dobbiamo ammettere che conosciamo poco del bagaglio teologico filosofico e artistico che abbiamo a disposizione”.
In una sua riflessione, lei contrappone al famoso “pensiero debole”, il “pensiero semplice” del cristianesimo come risposta alle contraddizioni della società di oggi. Come far emergere questa semplicità?
“Il concetto deve essere collegato in chiave filosofica all’idea di un Dio semplice: non semplicistico, ma armonico, unificato, senza divisioni. Dobbiamo recuperare la verità del nostro essere, consapevoli che anche noi diventiamo complicati quando non rispettiamo quello che siamo. Al contrario, si è semplici quando si collega il nostro essere, il nostro pensare e il nostro agire, quando siamo veri nelle cose che facciamo e autentici nelle situazioni che viviamo”.
Un cristianesimo concreto…
“Sì. Non bisogna farsi trascinare su un piano intellettuale svincolato dalla vita. In tal caso, si percorrerebbe una strada di intellettualismi inutile”.
La foto: don Nicolò Anselmi (Foto Esseciblog.it)