Cina, Santa Sede: dialogo e scontro sulle ordinazioni episcopali

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La vicenda della ordinazione è iniziata, secondo quanto riporta la agenzia Asianews, il 4 luglio con la “scomparsa” di padre Giuseppe Zhao Hongchun, amministratore apostolico di Harbin. “Padre Zhao che non fa parte della Chiesa ufficiale sotto il controllo del governo, era stato “invitato” da personalità governative il 4 luglio pomeriggio a cena con loro. Alle 7 di sera, il suo viceparroco ha ricevuto la chiamata al telefono di p. Zhao che gli diceva di non poter tornare a casa per i prossimi giorni, perché gli ufficiali del dipartimento degli affari religiosi avevano bisogno di parlare con lui e “la conversazione sarebbe durata alcuni giorni”. Zhao si era impegnato nei mesi scorsi per ricucire la divisione nella Chiesa e aveva organizzato una campagna di preghiera sperando che Yue avrebbe atteso l’approvazione di Roma per la ordinazione. Del suo impegno per la unità della Chiesa in Cina ha tenuto conto la Santa Sede e nella Dichiarazione si esprime “apprezzamento” per i sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici “che hanno pregato e digiunato per il ravvedimento del Reverendo Yue Fusheng, per la santità dei Vescovi e per l’unità della Chiesa in Cina, in particolare nell’amministrazione apostolica di Harbin”.

Eppure “il Reverendo Yue Fusheng era stato informato da tempo che non poteva essere approvato dalla Santa Sede come candidato episcopale, e più volte gli era stato richiesto di non accettare l’ordinazione episcopale senza il mandato pontificio.” Inoltre “I Vescovi, che hanno preso parte all’ordinazione episcopale illegittima e si sono esposti alle sanzioni, previste dalla legge della Chiesa, devono riferire alla Santa Sede circa la loro partecipazione alla cerimonia religiosa”. Questo per poter comunque capire se abbiano subito pressioni da parte del Governo o siano stati liberi di scegliere. Se questo succede a Harbin, a Shangai invece sabato 7 luglio è stato ordinato, con l’approvazione del Papa, il Reverendo Taddeo Ma Daqin come vescovo ausiliare di Shanghai. Un’ombra però grava anche su questa ordinazione che pure, si legge nella Dichiarazione della Santa Sede “ è motivo di apprezzamento e di incoraggiamento.” Per il governo cinese Ma Daqin è il coadiutore della diocesi, cioè sarebbe il successore dell’attuale titolare, mentre per Roma egli è un ausiliare, cioè potrebbe essere inviato in una qualsiasi altra diocesi. Inoltre alla ordinazione era presente anche il vescovo illecito Zhan. Per questo molti hanno rifiutato di partecipare all’ordinazione e di concelebrare.

“La presenza da parte di un Vescovo, che non è in comunione con il Santo Padre, era inopportuna e mostra mancanza di sensibilità verso un’ordinazione episcopale legittima” si legge a questo proposito nella Dichiarazione della Santa Sede. Poco dopo la cerimonia celebrata nella Cattedrale di Shangai alcuni funzionari dell’Ufficio affari religiosi hanno prelevato il neo vescovo e sembra che sia a “riposare” nel seminario di Sheshan, ma non è noto se lo abbia fatto volontariamente o su pressioni delle autorità. La cerimonia di Harbin aveva avuto molto rilievo nei media locali, mentre solo poche righe sono state riservate a quella di Shangai. Inoltre mons. Ma , che si è dimesso dalla Associazione patriottica, durante l’ordinazione ha rifiutato l’imposizione delle mani, la comunione e il vino da parte di mons. Zhan Silu, vescovo di Mindong (Fujian) non riconosciuto dalla Santa Sede. Un segno di volontà di comunione per la Chiesa in Cina che è stato sottolineato dagli applausi durante la cerimonia. Nella Dichiarazione della Santa Sede questo aspetto è ritenuto fondamentale: “ Tutti i cattolici in Cina, Pastori, sacerdoti, persone consacrate e fedeli laici, sono chiamati a difendere e a salvaguardare ciò che appartiene alla dottrina e alla tradizione della Chiesa. Anche nelle presenti difficoltà essi guardano con fiducia al futuro, confortati dalla certezza che la Chiesa è fondata sulla roccia di Pietro e dei suoi Successori”.

Ma il problema è ben più sottile. Il Governo cinese continua a sbandierare la volontà di dialogo e affermare che nella nazione c’è libertà religiosa, ma i fatti smentiscono le parole. Per la Santa Sede la situazione è difficile perché la religione è di fatto uno strumento politico per il governo. E ad ottobre c’è l’appuntamento con il Congresso del Partito comunista che deve darsi una nuova leadership. Molti pensano che la nuova generazione di dirigenti possa essere più flessibile e ragionevole, ma il fatto è che in pochi nella comunità internazionale, hanno voglia di mettersi contro il gigante economico Cina in questo periodo di crisi. Così la Chiesa cattolica resta più o meno sola a chiedere il rispetto dei diritti umani, tra cui la libertà religiosa. I vescovi non sono dirigenti statali e solo la Santa Sede ha autorità sulle ordinazioni episcopali, in tutto il mondo. La nuova generazione di politici cinesi che del comunismo hanno fatto un capitalismo di stato, un business, esportando merce, manodopera e traffici più o meno leciti potranno essere “in dialogo” con la Chiesa di Roma? Intanto la Santa Sede apre le porte, come già è stato fatto con la Lettera ai Cinesi del 2007 di Papa Benedetto XVI.

“Confidando- si legge nella Dichiarazione- nell’effettivo desiderio delle Autorità governative cinesi di dialogare con la Santa Sede, la medesima Sede Apostolica auspica che dette Autorità non favoriscano gesti contrari a tale dialogo. Anche i Cattolici cinesi attendono passi concreti nello stesso senso, primo fra tutti quello di evitare le celebrazioni illegittime e le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio, che creano divisione e recano sofferenza alle comunità cattoliche in Cina e alla Chiesa universale”. Da Roma la porta è aperta, ma la vita della Chiesa non la decide Pechino.

 

Foto: Il vescovo Ma a Shangai- Asianews

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