Porta fidei. La “Croce di Somaini”

Condividi su...

Francesco Somaini, Croce (bozzetto per la croce absidale della chiesa di Santa Maria dell’Osa, nome con cui è comunemente conosciuta la chiesa di Santa Beata Vergine Maria di Pompei, situata all’interno dell’Hotel Corte dei Butteri lungo la spiaggia dell’Osa, a Fonteblanda di Grosseto), 1964, bronzo, bassetta in porfido, cm. 45 x 38 x 10, inv. 23805 – Musei Vaticani, Città del Vaticano.

L’idea di sofferenza in questa Croce di Francesco Somaini (Lomazzo, Como 1926 – Como 2005) è data dalla sofferenza stessa, che sembra avere in sé la materia e la sua forma spezzata, contorta, intricata di luce e di ombra. Nel suo espressionismo informale è un Crocefisso essenziale e complesso nello stesso tempo. Esso appare stilisticamente molto vicino a Memoria dell’Apocalisse III del 1962 e, più ancora, al Grande martirio sanguinante del 1960 in cui, a ragione, Rossana Bossaglia ha visto “un evidente Crocefisso attorno a cui si coagula la materia densa e fracida come carne martoriata” (R. Bossaglia, Somaini. Opere 1948-1990, Milano, 1990). Anche qui la forma appare intimamente tormentata, ma la serena geometria del campo in cui la Croce si distende, ne dilata e ne completa il significato religioso, con l’idea della redenzione attraverso la sofferenza e l’idea della sua estensione universale che quel piano simboleggia. Il fascino di questo Croce, infatti, sta tutto nel fitto dialogo di significati che si instaura fra la sua forma tormentata e frammentaria e la distesa regolarità del piano in cui è campito, che gli conferisce anche una certa monumentalità entro l’ambiente – l’Ufficio temporaneo “del Fungo” – dove di consueto viene collocato in occasione delle Assemblee sinodali (*).

Francesco Somaini ha segnato con la sua scultura larga parte del secolo appena trascorso. Nella sua ricerca, volta ad ottenere un coinvolgimento delle forme nello spazio, attraverso una lacerazione drammatica delle superfici, è riuscito più di una volta ad evocare il sacrificio della croce. Sacrificio della croce che va inteso alla lettera, perché è proprio la croce che egli prende a tema e non il Cristo sulla croce, tema eterno della storia dell’arte da quando esiste il Cristianesimo. Anzi va precisato che egli queste croci le chiamava martirio operando una specie di viaggio a ritroso e per la storia dell’arte e per la passione di Cristo. La croce per sua costituzione è uno strumento di martirio e per la nostra cultura rimanda al Cristo che vi muore sopra. Somaini è attirato sia dalle parti lucide e perfette della ghisa, sia da quelle scabre e irregolari, le une indispensabili alle altre, facendone momenti essenziali del divenire della scultura. La presenza delle superfici lucide accompagna diverse opere degli anni decisivi nella sua storia di scultore. La poetica del frammento, che tanta importanza ricopre nella concezione dell’arte contemporanea, trova in Somaini uno degli interpreti più appassionati e convincenti, soprattutto nel momento informale decisivo del suo percorso, negli anni in cui l’idea di frantumare la forma, di fenderla e di lasciarla vivere nella sua emozione plastica poteva costituire un atto disinvolto, puramente sperimentale, assorbito in una dimensione puramente gestuale della forma. Ma in Somaini si tratta di concepire la scultura come un frammento che non mortifica se stesso, anzi si espande con vitalismo, si dilata accorpando quanto più spazio attorno a sé, agendo su forze contrastanti che ne rendono più forte il plasticismo.

Il Crocifisso di Somaini è solo una croce; senza l’immagine del Signore. Anzi è una croce frammento. Se vogliamo anche priva di quell’equilibrio compositivo che siamo abituati a vedere, da sempre, nella tradizionale disposizione delle due assi che formano una perfetta geometria. Una croce scheggiata in un metallo magmatico come supporto di una abrasione tirata a lucido. Ecco qui l’esempio palmare di quanto la sola materia che esprime un suo modo di essere, esprime anche un concetto aggiunto: il martirio, un racconto, cioè, o l’evocazione del racconto, sarebbe meglio dire. E non ha bisogno di ausili esterni alla sua stessa costituzione intrinseca. Non possiamo non convenire che proprio questa contrapposizione tra magmatico e levigatissimo fa sprizzare dalla croce una emozione spirituale. Tra il pulito della zona scavata e il greve e frammentato del resto della scultura, in questa voluta opposizione di superfici nello stesso corpo, l’artista ha ottenuto dalla materia inerte della croce tradizionale una scintilla emozionale ignorata nella passata iconografia staurotica. E non ha puntato solo sulla contrapposizione del trattamento della materia, lucido e greve, ma anche sui profili taglienti in un campo informe, i quali concorrono a creare l’acuto disagio che uno strumento di martirio deve decisamente provocare.

L’artista chiamava queste croci “martirio” e non strumenti di martirio. La croce tradizionale è stata sempre, per noi, strumento della sofferenza di Cristo, restando essa indifferente e non partecipe del martirio. Nelle sue sculture Somaini le sue croci le rende attive ed esse stesse sofferenti di un martirio; comunque segnate dal martirio o identificabili con quanto Cristo vi ha sofferto sopra. Questa lettura va anche collocata nel particolare contesto socio culturale in cui queste singolari immagini nacquero. Siamo negli anni ’50 del secolo scorso: tutte le ferite della guerra non si erano affatto rimarginate e molti artisti si sentirono in dovere di gridare il loro rigetto dell’ingiustizia guardando ad alcune tematiche religiose, riscoprendo in particolare la passione del Signore. La produzione di quelle opere è notevole. Non sono state inventariate, ma sicuramente il loro numero darebbe delle sorprese. Molte di queste opere furono espresse e non sarebbe stato possibile altrimenti, nel linguaggio allora più diffuso che era quello del neorealismo. Erano anni di lotte ideologicizzate che sfociavano in schieramenti spesso intolleranti nei quali l’arte diventava strumentale ed organica a scelte politiche. La sinistra imponeva il linguaggio del realismo socialista. E non era sufficiente impegnarsi nei temi dettati dalla politica: questi andavano gridati, imposti e privilegiati come le uniche e doverose espressioni artistiche per una società nuova che usciva dalla guerra e dalle dittature e che doveva costruirsi un radioso avvenire. E prevalentemente era preferita la denuncia, affidando spesso a linguaggi espressionistici tutto il nuovo dettato. Ma i giovani che erano alla ricerca di nuovi linguaggi (la guerra e l’apertura culturale delle frontiere li aveva informati meglio di quanto accadeva oltre confine), fecero il salto verso quelle forme che gli erano più congeniali. Ma non per questo rinunciarono alla denuncia. La loro opposizione non si ristringeva ad un passato sociale da cancellare, ma tendeva anche a spiazzare il consolidato gusto tradizionalista di quella borghesia che si appagava delle forme obsolete e addomesticate. Entrambi gli schieramenti, diversamente motivati, si trovarono tuttavia ad incontrarsi spesso sullo stesso fronte della passione di Cristo. Ed ora sarebbe giusto mettere a confronto le opposte tendenze e le loro motivazioni, le quali sotto la spinta della denuncia, trovavano nelle sofferenze del Signore un sicuro referente.

Somaini portava avanti una ricerca sullo spazio in forme astratte e contemporaneamente nella stessa Milano il toscano Agenore Fabbri squassava con virulenza le sue ceramiche. Somaini affidava al contrasto tra superficie lucida e impianto informale del blocco la sua tensione sacra e la sua denuncia e Fabbri, molto impegnato a sinistra, denunciava le stesse cose violentando, squarciando la materia e raggrumandone la superficie corrosa in figure religiose eccessivamente realistiche. Di simili confronti se ne potrebbero fare molti e in studi accurati dell’arte di quegli anni, si raccoglierebbe una messe non piccola, come già notato. E si deve aggiungere che l’attenzione alla passione di Cristo non fu certamente una moda, ma un bisogno profondo di rifarsi a colui che aveva subito la più grande ingiustizia da assoluto innocente. L’unico modello cui appellarsi per avere giustizia o conforto.

(*) Fino al 2011, questa “Croce di Somaini”, che si vede nella foto, si trovava nella Sala Stampa della Santa Sede presso il Palazzo dei Propilei in via della Conciliazione 54, collocato nell’Ufficio dell’Assistente Vik van Brantegem, prima di essere restituita ai Musei Vaticani, che ne sono il proprietario. Fu da essi concesso in prestito all’Ufficio temporaneo “del Fungo” in occasione della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dal tema “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (7-28 ottobre 2012), ultima volta che questo Ufficio fu costituito.

151.11.48.50