Il Papa vola più alto degli scandali. E invita a ripartire dalla preghiera
Ripartire dalla preghiera. Che non è la forza che ci allontana dal mondo, ma qualcosa che ci dà il senso di quello che dobbiamo fare. Benedetto XVI, nell’omelia all’udienza generale di mercoledì 13 giugno, non risponde direttamente agli attacchi che vengono mossi alla Chiesa. Non gli interessa scendere nel pettegolezzo, rispondere punto per punto alle accuse. L’indirizzo che ha dato è chiaro, e segna un cambiamento epocale: prima, la Santa Sede sussurrava, e tutti cercavano di interpretare quello che diceva. Con Benedetto XVI non ci si nasconde. Si parla alla luce del sole, perché quando si è puliti, c’è ben poco da aver paura.
Così, il Papa segue la linea che ha sempre seguito. Vola più in alto delle polemiche. Solo mercoledì 6 giugno decise che c’era da prendere una posizione netta e precisa sugli attacchi ai suoi collaboratori, e al termine dell’udienza rinnovò – con una dichiarazione precisa, e sottolineata con la voce nelle parole chiave – la fiducia in loro. La reazione alle ultime polemiche – sempre più vaghe sulla vicenda Vatileaks, sempre più forti nei confronti dello IOR – viene direttamente all’interno della sua catechesi del mercoledì, che segue il ciclo delle catechesi sulla preghiera, e che questo mercoledì è dedicato alla preghiera paolina. Ricorda il Papa: “Di fronte a chi contestava la legittimità del suo apostolato, Paolo non elenca tanto le comunità che ha fondato, i chilometri che ha percorso; non si limita a ricordare le difficoltà e le opposizioni che ha affrontato per annunciare il Vangelo, ma indica il suo rapporto con il Signore, un rapporto così intenso da essere caratterizzato anche da momenti di estasi, di contemplazione profonda; non si vanta di ciò che ha fatto, della sua forza, ma dell’azione di Dio in lui. Con grande pudore egli racconta, infatti, il momento in cui visse l’esperienza particolare di essere rapito sino al cielo di Dio.”
Il messaggio è che non è la perfezione degli uomini a fare la Chiesa, ma le loro difficoltà. E che se ancora c’è una Chiesa, non è tanto grazie agli uomini che la formano, ma per merito della grazia di Dio. Sta in questa semplicità di sequela del Vangelo il segno del cambiamento epocale che è avvenuto sotto Benedetto XVI. E’ finita l’era dei personalismi. Il Papa si sceglie i collaboratori sulla base della fiducia personale, ma il loro ruolo, il personaggio, non deve mai sopravanzare la Chiesa. Prima, il cardinal Sodano, segretario di Stato, era conosciutissimo, e meno conosciuto era il lavoro della diplomazia vaticana. Ora, il segretario di Stato Bertone è sotto i riflettori per via della resistenza interna a lui e al suo nuovo corso. Ma la diplomazia vaticana è più importante della Segreteria di Stato. A livello internazionale, la Santa Sede ha lanciato la proposta di un’autorità globale a competenze universali. Alla conferenza preparatoria per il nuovo Trattato per il commercio sulle Armi (ATT), la Santa Sede ha proposto di allargare il trattato alle armi leggere e di piccolo calibro, andando oltre le sette categorie previste dal Registro ONU sulle armi. Da tempo la Santa Sede, poi, sostiene l’iniziativa di non concedere un brevetto per le invenzioni che portano danno all’essere umano. Ed è importantissimo il position paper per il comitato preparatorio per la conferenza Onu sull’ambiente di Rio+20, in cui la Santa Sede chiede un “nuovo modello di sviluppo”, e sottolinea il fatto che lo sviluppo sostenibile è parte dello sviluppo umano integrale.
Un altro esempio dal cambiamento di un’epoca è rappresentato dal profilo del segretario particolare del Papa. Prima, Stanislao Dziwisz era al centro della scena, oggi Georg Gaenswein ci è stato messo perché attaccato da Vatileaks, ma il suo lavoro è sempre stato oscuro e silenzioso. È il cambiamento di un’era che molti, in Vaticano, non hanno apprezzato.
E la fine dei personalismi si nota anche con la sfiducia ad Ettore Gotti Tedeschi, fino al 24 maggio presidente del Consiglio di Sovritendenza dello IOR. Gotti Tedeschi non è stato sfiduciato a causa della politica sulla trasparenza – la Santa Sede la sta perseguendo con tenacia e impegno, aderendo agli standard internazionali – ma perché non è stato considerato dal board dei laici in grado di guidare l’istituto. Il suo attivismo mediatico – è una delle accuse – si spegneva sempre quando c’era da difendere l’Istituto. L’attenzione sulla sua persona, in qualche modo, faceva ombra all’Istituto.
Il verbale della sfiducia è stato pubblicato, in maniera quasi istituzionale. E il direttore generale dello IOR, Paolo Cipriani, ha parlato della trasparenza dello IOR in una intervista. I fatti sono stati resi chiari. E c’è poco da aggiungere.