Una teologia della tenerezza per la famiglia

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L’incontro mondiale delle famiglie, svoltosi a Milano, sta producendo buoni frutti. Infatti in campo teologico non è per niente abituale riflettere sull’esistenza cristiana in un’ottica di tenerezza. Eppure, un percorso di questo genere è decisivo se si vuole che la Chiesa si presenti al mondo come il sacramento della tenerezza di Dio. La verifica teologica sulla tenerezza porta con sé notevoli implicazioni di ordine ecclesiologico. Non è possibile parlare di tenerezza senza mettersi in discussione come Chiesa e come singoli, in cammino con i più umili. La teologia della tenerezza suppone la prassi della stessa e pone in crisi un modo di essere cristiani che si accontenta di un cristianesimo mediocre, senza slancio ed entusiasmo. Essa proclama alla comunità dei credenti che senza il vangelo della tenerezza non si risponde pienamente al vangelo dell’amore, divenendo alla fine incapaci di portare agli uomini il lieto annunzio della grazia. Anzi, fuori del vangelo della tenerezza è forte la tentazione di essere o di tornare a essere una Chiesa dell’esclusività. Uomo e donna sono chiamati ad andare a ‘scuola di tenerezza’, arricchendosi reciprocamente dei doni di cui sono portatori e impegnandosi a costruire insieme, in un dialogo positivo e rispettoso della differenza, un’autentica ‘civiltà della tenerezza’.

 

 

Quindi è un nuovo metodo teologico per affrontare il sacramento del matrimonio, che apre al dono della famiglia, come luogo di accoglienza. E’ questo un cambiamento di prospettiva che parte dall’intuizione del teologo Schillebeechx, che alla vigilia del Concilio Vaticano II, affermava: “La grazia del sacramento s’impossessa della persona nella sua relazione di fronte all’altra, agisce quindi in un modo nella donna e in un altro nell’uomo, la donna nel suo orientamento femminile verso l’uomo, l’uomo nel suo orientamento maschile verso la donna… è la relazione interpersonale, specifica, di questi due esseri che diventa sacramento nel senso stretto della parola”.  In questo senso mons. Rocchetta, attraverso questo studio offre alle coppie che si preparano al matrimonio e alle famiglie la possibilità di riflettere sul sacramento del matrimonio in una nuova prospettiva, in quanto lo sposarsi in chiesa rischia altrimenti di trovare motivazioni che non vanno al di là dell’obbligazione sociologica, dell’abitudine, di una vaga nostalgia. Invece, il senso dello sposarsi in chiesa è che la coppia riconosca nel proprio amore il segno e la presenza di un dono più grande, l’amore di Dio che salva. Il patto d’amore coniugale trova nel sacramento come un’apertura a nuove dimensioni: gli sposi divengono l’uno per l’altro dono e comunicazione di Dio; la sessualità viene vissuta come appello iscritto nel profondo del loro essere, appello ad una generosità senza confini, al superamento di sé nell’amore per l’altro, nella diversità che rimane e che evoca il Totalmente altro.

 

Oggi alla famiglia, e non solo, oggi è necessaria una nuova teologia, quella della tenerezza, come ha ben documentato mons. Carlo Rocchetta,  che è stato docente di sacramentaria alla Pontificia Università Gregoriana di Roma , alla Facoltà Teologica di Firenze ed alla Pontificia Università del Laterano, e socio fondatore dell’Accademia Internazionale di Spiritualità Matrimoniale (INTAMS) con sede a Bruxelles, autore di molti libri, fra cui il più famoso è ‘Teologia della tenerezza’. Ad un certo punto del suo impegno di docente, ha sentito il desiderio di dedicarsi totalmente alla famiglia e in particolare alle coppie in crisi e ai loro figli, ai coniugi soli e separati. Ora è guida spirituale del Centro Familiare ‘Casa della Tenerezza’, con sede Perugia-Città della Pieve, che si occupa dell’accoglienza delle coppie in difficoltà, della formazione alla vita delle nozze e dello studio sulla teologia del matrimonio e della famiglia.

 

Nell’introduzione del libro il card. Gianfranco Ravasi ha scritto: “Per la Bibbia è possibile e legittimo parlare di Dio secondo categorie umane perché così si scoprono dimensioni del Signore trascendente, ma queste categorie non imprigionano né esauriscono Dio che è sempre Oltre e Altro. Egli non è né maschile né femminile ma i simboli paterni e materni ne illuminano l’intima realtà in aspetti importanti. Perciò, anche l’appellativo ‘Padre’, caro a Gesù, non riesce a definire tutto il mistero divino e lo stesso vale per l’immagine materna, certamente più rara ed esitante a causa del contesto socioculturale di Israele ma non per questo da ridurre a mera comparazione o metafora”.  Per mons. Rocchetta la tenerezza dice accoglienza, dolcezza, benevolenza: “è una componente essenziale della persona, che si qualifica e si definisce come relazione con gli altri e, più particolarmente, come relazione d’amore. La tenerezza, perciò, è espressione della maturità di una persona: chi non è capace di tenerezza è immaturo, in quanto si lascia dominare dall’asprezza, dall’ira e da tutte le altre passioni umane”. Quindi la tenerezza è espressione della capacità di amare in pienezza, in quanto “l’amore pieno esige che esso resista dinanzi alle difficoltà provenienti da incomprensioni, screzi, ed anche offese. Tutto questo perché la tenerezza non è solo accoglienza dell’altro, ma anche dono di sé all’altro come persona che ha bisogno di essere amata. Gesù Cristo, modello dell’amore, non solo ci ha insegnato ad amare tutti di un amore agapico universale, ma ci ha pure insegnato ad amare nella tenerezza di persona che ama, si lascia amare, e che anche chiede amore”.

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