Il Papa è nella squadra vittoriosa del Signore. Ma benedice anche quelle che si giocano gli Europei di calcio
I campionati Europei di Calcio cominciano oggi in Polonia e Ucraina. E ricevono la benedizione del Papa. Il quale – in un breve messaggio inviato al presidente della Conferenza Episcopale Polacca, mons. Józef Michalik – esalta gli sport di squadra che “aiutano a superare la logica dell’individualismo e dell’egoismo”, per lasciare il posto alla logica della fraternità e dell’amore. E non manca, nel messaggio, un lungo riferimento a Giovanni Paolo II, il suo amato predecessore, il Papa polacco che tanto amava lo sport molto lo praticava. Il quale ha detto, in occasione del Giubileo degli sportivi del 2000, che “lo sport non è un fine, ma un mezzo; può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri” Anche Benedetto XVI ama lo sport. E, in diverse riflessioni nel corso degli anni, ha fatto dello sport una parabola di vita. Temi che si ritrovano nel messaggio a mons. Michhalik.
“Lo sport di squadra – scrive Benedetto XVI – è una scuola importante per educare al senso del rispetto dell’altro, anche dell’avversario sportivo, allo spirito di sacrificio personale in vista del bene dell’intero gruppo, alla valorizzazione delle doti di ogni elemento che forma la squadra; in una parola, a superare la logica dell’individualismo e dell’egoismo, che spesso caratterizza i rapporti umani, per lasciare spazio alla logica della fraternità e dell’amore, la sola che può permettere – a tutti i livelli – di promuovere l’autentico bene comune”. Poi, il Papa incoraggia “tutti coloro che sono impegnati nell’evento a operare con sollecitudine, affinché esso sia vissuto come l’espressione delle più nobili virtù e azioni umane, nello spirito di pace e di sincera gioia”.
Per comprendere il pensiero del Papa sul calcio si deve tornare indietro nel tempo. 1978, Joseph Ratzinger è vescovo di Monaco e Frisinga. Stanno per cominciare i Campionati Mondiali di Calcio in Argentina, e Ratzinger viene chiamato a parlare alla Radio Bavarese. Lì esprime il nocciolo del suo pensiero sul calcio e sullo sport in generale.
Ne viene fuori un contributo sul calcio che rappresenta un contributo sulla vita in generale. Guardando alla storia di Benedetto XVI, tutto il suo lavoro è stato il tentativo di creare una squadra armoniosa. Come quella creata alla Congregazione per la Dottrina della Fede; come quella creata con i suoi studenti, lo Schulerkreis che continua ogni anno ad incontrarlo. Libertà e rispetto delle regole, le parole d’ordine.
Le stesse del calcio. Diceva Ratzinger nel 1978 che il fascino del calcio consiste nel fatto che “esso costringe l’uomo in primo luogo a darsi un’autodisci-plina”, cosicché attraverso l’allenamento ottiene la padronanza di sé, e attraverso la padronanza di sé la superiorità e attraverso la superiorità la libertà. Il calcio insegna, inoltre, un essere insieme disciplinato e, come gioco di gruppo, costringe il singolo a inserirsi nel tutto. Il calcio unisce tutti i giocatori tramite la meta comune, e il successo e l’insuccesso di ognuno coincidono con il successo e l’insuccesso di tutti.
Il calcio insegna una competizione «fair play», nella quale le regole comuni alle quali si obbedisce rimangono anche nell’antagonismo un legame unificante. La libertà del gioco scioglie – quando si rispettano le regole – dopo la partita la serietà della competizione nella libertà del gioco finito.
Ma non basta: “Gli spettatori – spiega ancora Ratzinger – assistendo alla partita, s’identificano con il gioco e con i giocatori e, in questo modo, partecipano loro stessi al gioco nel suo aspetto comunitario e in quello competitivo, e condividono la serietà e la libertà del gioco: i giocatori diventano un simbolo della propria vita e questo ha dei riflessi anche nei giocatori stessi. Essi sono consci che gli spettatori si vedono in loro rappresentati e confermati”.
È una riflessione che oggi torna particolarmente attuale. Sono gli stessi principi che Benedetto XVI vorrebbe nella sua squadra, quella della Chiesa. Una squadra vincente, perché “è la squadra del Signore”, come Benedetto XVI ha ricordato ai cardinali che ha invitato a pranzo lo scorso 21 maggio.