#ilviruseugualepertutti – Ci decidiamo di smettere a pensare e fare Dio? E a convertirci? #preghiamoinsieme

Oggi, 17 marzo 2020 – per me sesto giorno di totale isolamento in casa – ho iniziato la mia giornata con la solita preghiera alla Madonna e l’accensione della candela davanti alla sua Icona (che ieri ho spostato dalla camera da letto nello studio, davanti a me sulla scrivania, con i fiori dal balcone e la candela).

Poi, la colazione, la consueta sistemazione di casa e la cura di Seville e Chanel (assai straniti, perché non sono abituati ad avermi sempre in casa e mi girano intorno), il contatto con mio “staff” e la meditazione/riflessione, i messaggi, vignette, foto e video arrivati nella notte e questa mattina.

Passer invenit sibi domum, et turtur nidum sibi, ubi ponat pullos suos.
Il passero si è trovato una casa, e la tortora un nido nel quale porre i suoi piccoli.
Altaria tua, Domine virtutum, Rex meus et Deus meus!
Io ho trovato la mia dimora al tuo altare, Signore degli eserciti, mio Re e mio Dio!
Beati qui habitant in domo tua: in saeculum saeculi laudabunt te.
Beati coloro che abitano nella tua casa: essi ti loderanno nei secoli dei secoli.
Quaesumus, omnipotens Deus, vota humilium respice; atque ad defensionem nostram, dexteram tuae majestatis extende.
Ti preghiamo, o Dio onnipotente: volgi lo sguardo ai voti degli umili; e stendi la destra della tua maestà in nostra difesa.
Fate risuonare le campane delle nostre chiese, affinché sia scacciata tanto la pestilenza del corpo quanto e soprattutto quella delle anime.
Quindi, mi sono messo al lavoro, al “pezzo ante meridiem”… in compagnia di Seville (che ha preso il “vizio” a voler toccare anche lui la tastiera…).
Nella vita nulla si può dare per scontato. Molte volte ci ricordiamo “la prima volta” – che abbiamo vissuto qualcosa – ma è importante anche “l’ultima volta” – e anche di queste ne ho vissuto tante. E ne parlò – grazie ai mezzi elettronici – con un amico stamane. Il periodo che viviamo (imposto dal Sars-CoV-2 (il Coronavirus che ci è “donato” dal Covid-19 e che ci costringe all’isolamento e all’interruzione ai rapporti diretti con i nostri cari… e per tanti anche in modo definitivo, che stringiamo in un’abbraccio virtuale, mentre speriamo che “tutto andrà bene”, nella consapevolezza che #ilviruseugualepertutti) è tempo prezioso. Preziosissimo tempo, in cui si vive un momento di vita significativo. Per me è stato con Valentina l’11 marzo e quando ci siamo salutati (già baci e abbracci già esclusi da giorni) non ero ancora consapevole, che non l’avrei vista e abbracciata per un po’… Questo fatto, di questa emergenza, che impedisce alle persone di vivere e di frequentare i propri affetti, è una conseguenza molto pesante del virus. Ma, lo vivo come l’ho scritto ieri, sul mio diario Facebook: “Nostalgia, in tempo di Covid-19, lontani… ricordi, dedicati a Valentina, la gioia della mia vita. Non è vero “lontano dagli occhi lontano dal cuore”. Quando si ama una donna, è proprio con la lontananza, che si sente maggiormente il bisogno di lei. Andrà tutto bene e il ricordo rafforzerà l’amore”.

Come prima cosa, ho preso visione – e firmato – la petizione su CitizenGo per iniziativa di Italia Futuro del 16 marzo 2020, destinata al Santo Padre Papa Francesco, al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al Presidente del Consiglio del Consiglio dei ministri, ai Vescovi italiani.
Appello a Roma centro della Cristianità
Da semplici cittadini, praticanti e non la fede cattolica, ci rivolgiamo alle più alte Istituzioni che dirigono, politicamente e spiritualmente, il territorio italiano, affinché gli elementi costitutivi della Fede Cattolica, vale a dire i Sacramenti, e in particolare l’Estrema Unzione e l’Eucarestia all’interno della Santa Messa, continuino a essere liberamente impartite, pur nel rispetto delle misure messe in atto dal Governo.
Con le dovute precauzioni è possibile conciliare il rispetto delle norme sanitarie con il rispetto del diritto alla libertà di culto. Il clero può e deve avere la stessa libertà di azione dei medici: la cura dell’anima deve perlomeno equivalere a quella del corpo. In particolare dolorosissima risulta essere al popolo italiano la mancanza dei conforti religiosi nel momento della gravissima malattia e della morte come anche il mancato seppellimento dei propri cari al cimitero.
In nessuna epoca storica, in nessuna epidemia, in nessuna guerra, Roma e l’Italia conobbero mai un’eclissi tale del volto di Cristo.
Chiediamo pertanto il ripristino dei superiori e prevalenti “diritti di Dio” (e di conseguenza dell’uomo) in questo momento messi in “quarantena”.
PRIMI FIRMATARI
Marco Tosatti – Giornalista
Massimo Viglione – Storico
Carlo Taormina – Avvocato
Marcello Veneziani – Giornalista
Vittorio Sgarbi – Politico
Maria Rosaria Randaccio – Politico
Filippo Ascierto – Politico
Paola De Pin – Politico
Lorenzo Damiano – Politico
Agostino Sanfratello – Docente
Siro Mazza – Giornalista
Toni Brandi – Pro Vita
Roberto Fiore – Politico
Firma QUI.

Quindi, ho ricevuto questo appello alla preghiera:
#preghiamoinsieme e inviaci i tuoi whatsapp al numero 335 1243722 – Racconta la tua storia: spediscici video, audio, testo, foto
Il 9 marzo Papa Francesco ha deciso di celebrare in diretta la Messa a Casa Santa Marta, permettendo a tutto il mondo di pregare con lui. Francesco ha offerto la Messa per “gli ammalati per chi è colpito dal coronavirus, per i medici, gli infermieri, i volontari che tanto aiutano, i familiari, per gli anziani che stanno nelle case di riposo, per i carcerati che sono rinchiusi”.
In poche ore è nato il programma Radio “In prima linea – vivere con fede al tempo del coronavirus” (In onda alle 11.05 e alle 17.05), una settimana dopo, questo spazio è anche su Vatican News e le piattaforme social. Informiamo, condividiamo storie e iniziative, ascoltiamo chi fronteggia l’epidemia da COVID-19. Cerchiamo di portare quello sguardo più grande che sgorga dal Vangelo, capace di riempire i cuori, per non lasciare nessuno da solo.
Puoi trovarlo su FM, Satellite, DAB+ e sulle App RADIO VATICANA e VATICAN NEWS.

Poi, ho dato un’occhiata al blog Stilum Curiae dell’amico e collega Marco Tosatti e condivido qui di seguito due riflessioni che ha pubblicato, tra oggi e ieri: per prima di Luca Del Pozzo sulla Chiesa e il Coronavirus, il problema indica con chiarezza, la radice di tanto disagio e abbandono; e per secondo di Cesare Baronio, una meditazione della Quaresima nella tribolazione e un accorato appello nel tempo della epidemia che stiamo vivendo.
Chiese chiuse solo un sintomo, il problema vero è altrove
di Luca Del Pozzo
Stilum Curiae, 17 marzo 2020
Al di là della decisione – a Roma poi parzialmente rientrata, ciò che ha consentito a molti fedeli (tra cui il sottoscritto) di poter accedere regolarmente alla comunione sacramentale grazie allo zelo di quei parroci che sanno dare a Cesare quel che è Cesare e a Dio quel che è di Dio – decisione, dicevo, di chiudere le chiese su cui è stato già detto e scritto molto, l’aspetto forse più preoccupante e che la dice lunga sullo stato di crisi in cui versa il cattolicesimo, almeno in Italia, è l’assordante silenzio, la quasi totale assenza di una parola, di una voce profetica, di una lettura cristiana dei fatti che stiamo vivendo, in primis da parte dei pastori [Abbiamo sete. Ma intorno a noi c’è aridità | “Non chi comincia ma quel che persevera” | Ai pastori le pecore chiedono una parola vera, di Fede, per l’Anima, di conforto, una parola paterna. Oggi manca una voce profetica | Ci dovevamo fermare… | #ilvirusèugualepertutti Fermatevi. Semplicemente alt. Stop. Non muovetevi. E riflettete. Smettete a pensare e fare Dio].
Diciamo le cose come stanno: quello delle chiese chiuse è solo un sintomo, l’ennesimo, di un problema più grave che sta, come si suol dire, a monte. E che tocca da vicino l’essenza stessa della vita della Chiesa, cioè la fede. Ma come! C’è una pandemia in corso, migliaia di morti, decina di migliaia i contagiati, paura, inquietudine, smarrimento diffuso, i nostri stili di vita radicalmente cambiati in pochissimo tempo, siamo costretti a difenderci standocene rintanati in casa, le nostre città ci rimandano scene spettrali, viviamo una vita sospesa; e in questo frangente la Chiesa non ha nulla da dire, fatta salva qualche lodevole eccezione (si veda ad esempio la bella intervista rilasciata da Mons. Massimo Camisasca alla Nuova Bussola Quotidiana [“Noi tra morte, sconcerto e rinascita: Coronavirus, un richiamo di Dio”: «Dio non è all’origine del male, ma se ne serve per correggerci: il Coronavirus è un suo richiamo e quando sarà finito vivrò la Risurrezione col mio popolo». Il vescovo Camisasca tra video letterari, sgomento e Messe sospese: «Forse c’erano altre soluzioni, ma non abbiamo saputo trovarle. Tutto è precipitato velocemente, però la realtà dell’Eucarestia è condivisa da tutti». «Soffro per il Paese, per la mia Lombardia, per i malati, per i medici. Purtroppo si muore soli». La ripresa? «Sarà difficile e dolorosa, ma vedo una luce nelle famiglie in preghiera».])?
Non una parola sul senso e sul significato di ciò che sta accadendo, alla luce di quel fatto sconvolgente senza il quale, come dice l’Apostolo, è vana la nostra fede ossia la Resurrezione? Semplice presa d’atto?
È vero che viviamo tempi difficili, ma è altrettanto vero che proprio perché difficili possono essere tempi anche straordinariamente fecondi, come spesso è accaduto nella storia. Verrebbe anzi da dire, parafrasando l’Exsultet che speriamo di poter proclamare nella solenne Veglia Pasquale, “Felice virus che ci meritò di vivere un tempo così propizio”!
Tempo di conversione, innanzitutto (auspicabilmente secondo l’accezione tradizionale del termine, cioè di rinuncia al peccato e di adesione a Cristo); ma anche tempo di riflessione, per rientare in sè stessi e misurarsi con quelle domande che con la scusa del tran tran quotidiano ci sforziamo di respingere in qualche angusto anfratto della nostra coscienza, ma che instancabilmente bussano alla porta.
Per non parlare delle relazioni, dei legami famigliari (e non solo), che una convivenza forzata e prolungata rischia certo di mettere a dura prova, essendo però anche un’occasione straordinaria per apprezzare fino in fondo ciò che davvero conta. C’era bisogno di un virus, per di più non così grave come altri ce ne sono stati in passato, per ricordarci il nostro essere indicibilmente precari e di passaggio in questo mondo [#ilvirusèugualepertutti Fermatevi. Semplicemente alt. Stop. Non muovetevi. E riflettete. Smettete a pensare e fare Dio]? Evidentemente sì. E allora d’accordo che bisogna fare il proprio dovere di cittadini in modo responsabile, e che bisogna obbedire ai governanti, e che mai come in queste situazioni occorre ascoltare la voce della scienza e degli esperti.
D’accordo. Ma c’è un ma. Tutto ciò ha a che fare con le normali procedure di gestione di un’emergenza (in gergo aziendale si chiama crisis management), ossia in ultima istanza sul come affrontare una situazione di crisi. Che va bene, intendiamoci. Ma qui si sta parlando d’altro.
Qui si sta parlando del perché delle cose. Può dunque la Chiesa, che pure è chiamata a vivere nel mondo e a farsi carico dei problemi degli uomini e che degli uomini condivide gioie e dolori eccetera eccetera eccetera, può, la Chiesa, sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda del pensare e dell’agire umano e basta? Senza andare oltre, senza parlare come si può e si deve parlare in tali circostanze illuminando la storia presente con una parola di verità? Ovvio che no.
O cessa di essere Chiesa per diventare un’associazione come un’altra. Va bene la preghiera, va bene la solidarietà e la carità verso i più deboli, va bene tutto. Ma resta il fatto che da quando si è scatenato questo flagello del Covid-19 poco o nulla si è sentito o letto di realmente, autenticamente cattolico. Silenzio assoluto. Tranne quando, ma lì sì che era meglio tacere, si è trattato di prendere le distanze da certe interpretazioni del fenomeno giudicate evidentemente retrò (tipo, coronavirus = castigo di Dio), in quanto potevano forse (e sottolineo forse) andar bene in epoche passate, ma nel XXI secolo?
Suvvia… Ora, a parte il fatto che c’andrei cauto a liquidare con una alzatina di spalle – come sogliono fare certi teologi o sedicenti tali – la possibilità che anche nel XXI secolo, anche nel nostro mondo divenuto adulto Dio possa voler comunque mandare un – vogliamo chiamarlo avvertimento, se castigo suona troppo ecclesialmente scorretto? (a tal riguardo oltre a rimandare alla già citata intervista a M.or Camisasca, ricordo qui sommessamente, così, alla rinfusa: Sodoma e Gomorra, l’esilio babilonese, le piaghe d’Egitto, la cacciata dall’Eden, il diluvio universale, Corazin, Betsaida e Cafarnao, e potremmo continuare a lungo); a parte questo, ripeto, il punto qui è la dimensione oramai quasi del tutto orizzontale di buona parte dei discorsi che si sentono in ambito ecclesiale.
Per non parlare di certa omiletica, che, se possibile, la fede te la toglie del tutto. Siamo passati dall’uomo a una dimensione di Marcuse alla Chiesa a una dimensione. Come se le cose di quaggiù fossero più importanti di quelle di lassù. Prevengo l’obiezione: ma occuparsi delle cose di lassù non esclude, anzi, implica occuparsi anche delle cose di quaggiù, dal momento che Dio si è incarnato e la Chiesa cammina nella storia!
Vero, ci mancherebbe. Ma nel giusto ordine. Prima il cielo, poi la terra. Se no succede, e purtroppo succede sempre più spesso, che quando senti certi vescovi o certi parroci, e non sai che a parlare è un vescovo o un parroco, potresti tranquillamente pensare di stare ascoltando di volta in volta, chessò, un teorico dello sviluppo sostenibile, un esperto di coaching, un sindacalista, un’attivista dei diritti umani o uno dei tanti testimonial del nulla cosmico in giro per il mondo.
E dire che se c’è una cosa che caratterizza e distingue (sì, distingue) i cristiani, è proprio il modo di leggere e interpretare la storia, personale e collettiva. Tutto il resto viene dopo, molto dopo. Pensare secondo Dio, non secondo gli uomini: a questo sono chiamati i cristiani. Tutti, nessuno escluso. E magari tornando anche a dire, oltreché pensare, qualcosa di cattolico. E’ un caso che questa epidemia sia scoppiata in Italia nel bel mezzo della Quaresima? E perché in modo così virulento proprio da noi?
E come mai tanti laici – come ha raccontato qualche giorno fa Ettore Gotti Tedeschi con una bellissima testimonianza – gente che magari fino a l’altro ieri se ne fregava altamente di Dio e della Chiesa, ora si interrogano, riflettono e chiedono conforto ai credenti?
E Dio, cosa sta dicendo Dio al mondo intero? Mai come oggi è necessario che la Chiesa torni ad essere segno di contraddizione e voce profetica in un mondo apparentemente autosufficente, autonomo e che si pretende indipendente vivendo etsi Deus non daretur, salvo poi intrupparsi appresso a santoni guru astrologhi e leoni da tastiera a vario titolo che ammorbano i cosiddetti social. Altrimenti presto o tardi vedremo di nuovo le chiese chiuse in Italia, come tante, troppe chiese hanno già chiuso i battenti altrove in Europa e nel mondo. E stavolta non per un virus.

Altaria tua, Domine virtutum! Meditare nella tribolazione
Una meditazione ed un accorato appello nel tempo della epidemia
di Cesare Baronio
Stilum Curiae, 16 marzo 2020
Nelle nostre strade c’è un silenzio surreale. Un silenzio che non sentivamo – poiché anche il silenzio può avere un suono – da moltissimo tempo. Lo strepito delle auto, delle voci, delle grida, delle musiche scomposte e volgari è scomparso. L’aria è più pura e si sente il canto degli uccelli. Il rintocco di una campana. A Venezia i canali sono tornati limpidi e si vedono guizzare dei pesci. I mucchi di immondizia intorno ai cassonetti sono scomparsi. In alcuni paesi di montagna gli animali selvatici si avventurano per le vie deserte, non più spaventati dal rombo dei motori e dei clacson. Chiusi gli uffici, i negozi, le discoteche, i bar. E di domenica, forse per la prima volta dopo decenni, non si profana pubblicamente il giorno del Signore.
Ma in questo apparente idillio, in cui la natura si prepara a rifiorire dopo l’inverno e punteggia di gemme i rami degli alberi, vi è un silenzio inquietante ed innaturale. Il silenzio delle nostre chiese, sotto le cui volte non risuonano più gli echi della preghiera, la lode elevata al Padre dal Corpo Mistico di Cristo. Quel silenzio assordante per le anime cristiane, quelle navate vuote, quegli altari deserti. Un silenzio che costa ai fedeli sgomenti la presa di coscienza d’un abbandono. Signore, da chi andremo? E lo chiede anche il buon parroco che celebra sine populo non più rivolto alla Croce, ma ad una fila di banchi muti, ad un portale sbarrato.
Certo, quella sensazione di solitudine è condivisa anche dal sacerdote che non ha abbandonato la Messa cattolica, o che l’ha riscoperta recentemente. Il popolo inginocchiato in preghiera, che lo seguiva come un pastore a capo del gregge, non c’è più. E quando si volge per il Dominus vobiscum, gli rispondono solo gli Angeli, i Santi e le anime del Purgatorio, mentre i fedeli della Chiesa militante sono costretti nelle loro case, forse connessi in streaming, forse uniti spiritualmente mentre recitano il Rosario o leggono le letture del messalino.
Quanti Ministri di Dio e quanti laici, negli anni Settanta, si sono sentiti come noi oggi? Quanti hanno visto loro vietata la Messa cui erano assidui, proibiti i canti sacri, bandito l’accesso alle chiese? Allora non fu il Covid-19, ma la peste conciliare a bandirli dal tempio, a farli sentire scomunicati, a colpire con l’interdetto le loro chiese e i loro sacerdoti. Ma nemmeno oggi, a ben vedere, un morbo oscuro priva il popolo di Dio del dovere e del diritto della Messa: è sempre quella stessa, pavida ed arrogante setta asservita al mondo che non si smentisce mai, che prende a pretesto il Coronavirus per sottrarsi al proprio dovere di sfamare le anime con il Pane degli Angeli e dissetarle con la Parola di Dio cui anela l’anima come il cervo desidera la sorgente d’acqua. E in questa smania d’assecondare la mentalità moderna indifferente alle cose dello spirito, pare che i campioni siano tanto più numerosi, quanto più si sale nella Gerarchia. Fino a giungere al suo vertice, pronto a chiudere i portali di San Pietro per le celebrazioni del Sacro Triduo con un mese di anticipo, quasi a scongiurare l’intollerabile eventualità che i fedeli possano farsi coraggio con la speranza che tra un mese la situazione cambi. Lasciate ogni speranza: o voi che non potete entrare!
Eppure, in questo scenario desolato e desolante, sono certo che molti, moltissimi sacerdoti stanno riscoprendo tanto il significato intimo del proprio Ministero, quanto il valore incommensurabile del Santo Sacrificio. Nonostante il lavaggio del cervello cui sono stati sottoposti da decenni; nonostante la povertà del rito riformato; nonostante quel tavolo spoglio rivolto al nulla, questi giorni di solitudine surreale fanno emergere la vera natura del loro essere non già presidenti dell’assemblea, ma Ministri di Dio che intercedono per il popolo santo. Soli dinanzi alla Maestà divina, perché è a Dio ch’essi si rivolgono, per impetrare quelle grazie e chiedere perdono a nome di tutta la Chiesa, quam pacificare, custodire, adunare et regere digneris. E sulla patena, assieme all’Ostia santa, pongono l’anziana ammalata, il padre di famiglia preoccupato per il proprio stipendio, il medico che rimane in corsia fino a tarda sera, l’imprenditore che non può pagare i dipendenti, il precario lasciato in ferie anticipate, la madre che fa la spesa con la mascherina e pensa alle bollette e all’affitto imminenti, quorum tibi fides cognita est, et nota est devotio.
E gli avevano detto – ci avevano detto – che la Messa, anzi, l’Eucaristia, è una cena fraterna; che senza fedeli non ha senso celebrare; che è inutile moltiplicare le celebrazioni, e molto meglio concelebrare. Ma quel parroco sa bene che tutti i suoi parrocchiani sono attorno all’altare, in quel momento, anche se lontani. E che dalle fiamme del Purgatorio le anime sante di quanti egli ha accompagnato al cimitero aspettano che su di essi si riversino i suoi suffragi, per poter godere di quel locum refrigerii, lucis et pacis che ancora è loro precluso. Non parla più all’assemblea, non interrompe più la Messa coi suoi interventi estemporanei, non affida la distribuzione della Comunione alla zelatrice del tempio o alla suora con velleità presbiterali: è solo, come solo era Cristo nel Getsemani, e solo sul Calvario. Sarà solo anche dinanzi al tabernacolo, la sera, mentre prega per i parrocchiani il divino Prigioniero.
Eppure la sua solitudine, proprio come quella di Colui di cui egli è alter, lo rende davvero pontifex, costruttore dell’unico ponte tra gli uomini e Dio, di quella scala dalla quale salgono e scendono gli Angeli, senza la grottesca retorica dei novatori, senza i brogliacci dei predicabili di qualche esegeta progressista pieno di sé e vuoto dell’amore di Dio.
Nella Messa di oggi l’antifona alla Comunione riprende il Salmo 83: è un brano stupendo, non solo per le parole del Salmista, ma anche per le modulazioni del canto gregoriano. Questo struggente desiderio di dimorare nella casa del Signore è oggi quantomai sentito da coloro che a causa del contagio si sentono lontani, se non addirittura allontanati a forza, da quella che a giusto titolo sentono come casa loro: sani e malati, santi e peccatori, donne e uomini, vecchi e bambini, padri e madri, mariti e mogli.
Passer invenit sibi domum, et turtur nidum sibi, ubi ponat pullos suos. Il passero si è trovato una casa, e la tortora un nido nel quale porre i suoi piccoli. Altaria tua, Domine virtutum, Rex meus et Deus meus! Io ho trovato la mia dimora al tuo altare, Signore degli eserciti, mio Re e mio Dio! Beati qui habitant in domo tua: in saeculum saeculi laudabunt te. Beati coloro che abitano nella tua casa: essi ti loderanno nei secoli dei secoli.
A tutti i Sacerdoti, ai Vescovi, ai Principi della Chiesa io rivolgo questo accorato appello: non cessate di impetrare all’altare di Dio che risparmi al suo popolo la giusta punizione per le sue colpe, che gli conceda quelle grazie e quel perdono che solo la penitenza e il pentimento possono placare! Consacrate voi stessi anzitutto, e noi con voi, ai Sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria: affidate le vostre comunità, le parrocchie, le Diocesi e l’intera nostra Patria alla protezione celeste! Fate risuonare le campane delle nostre chiese, affinché sia scacciata tanto la pestilenza del corpo quanto e soprattutto quella delle anime.
E quando finalmente potremo accorrere dinanzi ai nostri altari, ricordatevi che se vi volgerete alla Croce non penseremo che ci date le spalle, ma che vi ponete alla testa di una ideale processione che ha come sua meta ultima il Cielo e come viatico il Corpo e il Sangue di Nostro Signore.
Quaesumus, omnipotens Deus, vota humilium respice; atque ad defensionem nostram, dexteram tuae majestatis extende. Ti preghiamo, o Dio onnipotente: volgi lo sguardo ai voti degli umili; e stendi la destra della tua maestà in nostra difesa.