Ripartire dalle parrocchie

Ripartire dalle parrocchie. In un momento di crisi economica, mentre si sfalda il tessuto sociale, mentre la politica ha bisogno di un rinnovamento profondo – perché sono segnali da non sottovalutare astensioni, schede nulle e astensioni – il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, individua nelle parrocchie la cellula da cui far ripartire la società. Di più: chiede ai movimenti di coordinarsi sempre di più con le parrocchie, affida alle parrocchie il compito di aprire “sportelli amici” per superare il dramma dei suicidi degli imprenditori, punta ad un ritorno della fede e ricorda il percorso di Benedetto XVI, un percorso che – come più volte sottolineato anche su queste pagine di korazym.org – punta a riportare la Chiesa a Dio. E se Bagnasco parla anche a lungo della necessità di un ripensamento della politica, chiede politiche sociali, è nella risposta peculiare dei vescovi che si trova forse il dato più interessante della prolusione. Bagnasco – con una riflessione che è stata più volte fatta anche in queste pagine – spiega: “Ci è parso di cogliere nelle parole e nelle scelte complessive di Benedetto XVI un’accentuazione nuova. Egli alza il tiro e punta decisamente alla fede: o c’è o vi è il niente. Tutto il resto, per quanto rilevante, è secondario. Il futuro dell’evangelizzazione si apre solo per la fede”.
L’Anno della Fede si concluderà con un Credo da pronunciare in ogni parrocchia. E tutte le comunità locali sono state chiamate ad avere un ruolo e un peso in questo Anno della Fede. Si parte dalle piccole comunità per ricostruire la Chiesa, e Benedetto XVI lo ha capito con certezza quando, appena sacerdote, passava ore chiuso in confessionale e si rendeva conto che era proprio la fede dei semplici a venire meno, che c’erano dei “nuovi pagani” all’interno della stessa Chiesa. Da quelle riflessioni ne è scaturito un saggio, “I nuovi pagani e la Chiesa”, e da quelle riflessioni è scaturita una consapevolezza, che il Papa ha portato avanti in tutto il Pontificato: si deve ripartire dalla fede, dalla verità della Chiesa, per poter purificare e ricostruire la Chiesa.
Ripartire dalla parrocchia, allora, con “la sua accessibilità e ordinarietà, ma anche con un suo rinnovato flusso di calore. Essa – afferma Bagnasco – non è un luogo di routine a misura dei ‘soliti noti’: è il miracolo di Dio dispiegato sul territorio, dove lo straordinario è racchiuso sotto forme abituali ma non per questo meno perentorie e incisive: il miracolo dell’Eucarestia, l’eloquenza dell’Anno liturgico, la potenza della Parola di Dio, le provocazioni di una catechesi ben preparata, la disponibilità di un animatore dell’Oratorio, la presenza di un testimone convincente, un’esperienza forte di servizio… sono tutte circostanze abbastanza consuete, è vero, ma perché mai la grazia non potrebbe essere in agguato sulle vie di sempre? Le nostre parrocchie sono cellule di evangelizzazione anzitutto mettendo un’anima missionaria nelle cose ordinarie”.
Bagnasco chiede anche maggior coordinamento. “È il momento – dice – che associazioni e movimenti, riscoprendo ciascuno la propria valenza iniziatica, si innestino in una pastorale integrata, che sia di compagnia alle solitudini di oggi e rilanci in concreto la missione sul territorio”.
E c’è una parola che viene scandita più volte nella prolusione: servizio. Di fronte alla crisi, alla necessità di sacrifici, la risposta si trova – per Bagnasco – nel servizio. “È necessario – afferma – rompere il cerchio mortale dell’individualismo, che corrompe il tessuto sociale; ed è urgente ricostruire la ‘cultura dei legami’ che si esprime nella famiglia, nel vicinato, nell’amicizia, nei luoghi del lavoro, nel percepire la società come parte di noi, così come ognuno, in una certa misura, è parte della società”. E chiede a tutti – e non solo alla Chiesa – di proporre forme organiche di volontariato, che tocchino tutti i campi, anche quello della politica, dell’economia e della finanza.
La parrocchia viene dunque riproposta come quella microcellula sociale dove formare la persona. Ed è anche la risposta a quell’Unione Europea che ha perso il senso di “comunità”, che oggi dovrebbe essere fondata – dice Bagnasco – sulla solidarietà. D’altronde, basterebbe andare a guardare il Trattato di Roma del 1957, con cui si diede vita all’Europa, che enfatizzava lo sviluppo degli Stati, e poi andarlo a paragonare con il Trattato di Maastricht del 1992, con cui è iniziata l’Unione Europea, in cui l’enfasi era posta sul mercato. Il problema – dice Bagnasco – è che oggi c’è “l’illusione, forse, di poter annegare o confondere le debolezze nazionali in una realtà più grande. Un calcolo miope che oggi si paga a caro prezzo. Manca una visione di ciò che desideriamo dall’Europa, e c’è piuttosto la sensazione che abbia diritto di circolazione solo ciò che è negazione del passato e si presenta con una cifra apparentemente neutrale, illusoriamente progressista, ma chiaramente laicista”.