Vocazione e vocazioni

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Tu sei sacerdote in eterno….immagino che quando i novelli sacerdoti sentono queste parole provino una sensazione strana, come di un compito molto superiore alle loro possibilita’. In effetti e’ un compito arduo a cui infatti si e’ chiamati, non e’ qualcosa che si sceglie. Io credo talvolta risieda proprio qui il problema, tra il distinguere fra la chiamata, la vocazione, e coloro che “scelgono” di diventare sacerdoti, a volte con motivazioni non in linea con quello che questa vita richiede. Certamente nessuno puo’ essere forzato ad essere sacerdote, quindi in seconda linea e’ anche una scelta personale. Ma quando la scelta viene fatta senza la chiamata, allora nascono i problemi. Leggo in questi giorni che le vocazioni sacerdotali in Europa sono in forte calo, mentre crescono in Africa, Africa e Oceania. Forse ci si puo’ domandare se le condizioni economiche hanno una influenza anche sui flussi vocazionali; parlando con vari sacerdoti nel corso degli anni, sacerdoti appartenenti a congregazioni che hanno consistente attivita’ missionaria o sono attivi nei continenti di cui sopra e in cui si registra una crescita delle vocazioni, mi si confessava come ci siano non poche incognite.

Infatti, sempre a quanto riferito, alcuni (ed alcune) scelgono la vita religiosa perche’ rappresenta un deciso avanzamento sociale ed una emancipazione dalle condizioni di vita non agiate in cui si vengono a trovare. Si puo’ capire che queste non sono vere chiamate, ma sono scelte di vita che rientrano nel discorso che si faceva prima. Capiscono queste persone la vera natura del sacerdozio? Questo non succedeva a volte anche in una piu’ povera Italia di diversi decenni fa? Alcune famiglie mandavano i figli in seminario perche’ questa sembrava una strada piu’ sicura rispetto ad una vita non agiata. Certo anche tra questi potevano sbocciare vocazioni reali, ma quanti poi diventavano sacerdoti pur non essendo realmente chiamati a questa vita? E le conseguenze di questo si possono facilmente immaginare, per loro e per il loro fedeli. Benedetto XVI, nella sua catechesi per l’udienza generale del 26 maggio 2012, lo ha detto chiaramente, parlando dell senso vero del termine “gerarchia” e di come questo senso sia stato pervertito nell’idea di dominio: “Ma questo e’ un e’ una male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorita’ e da carrierismo, che sono appunto abusi e che non derivano dall’essere stesso della realta’ “gerarchia””. Ma e’ anche vero che per alcuni sacerdoti che vivono il sacerdozio come un avanzamento sociale, l’idea di dominio e’ in fondo strettamente legata alle loro motivazioni di base.

C’e’ anche un altro problema che mi fu riferito anni fa da un religioso; la crisi delle vocazioni dopo il Concilio e’ stata devastante, portando molte congregazioni sull’orlo della estinzione. Per questo motivo, anche se sembra non carino dirlo, ma si accettavano anche persone che forse non avrebbero dovuto essere accettate per il sacerdozio, questo per mandare avanti la baracca. L’antidoto migliore al clericalismo e’ proprio quello di sacerdoti con vere vocazioni, uomini imperfetti tra gli uomini ma con un fine supremo a cui tendono incessantemente per tutta la vita, uomini non legati ad interessi terreni in modo malsano. Le false vocazioni sono quelle che alimentano il clericalismo, in quanto quest’ultimo, come gia’ detto, e’ una malattia del sacerdozio, la piu’ devastante.

E purtroppo non e’ malattia individuale, ma e’ malattia sistemica, malattia che in tante curie si alimenta in modo spaventoso fino a divenire ai limiti dell’incurabile. Si dovrebbe riflettere sul livello sistemico del clericalismo, sul come un certo modo di essere “chiesa” non e’ altro che terreno di coltura per questo terribile morbo.

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