Siria: cristiani sotto assedio

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Contiene una dura condanna della violenza, da qualunque parte essa provenga, un forte appello al dialogo e alla riconciliazione ed un’esortazione a essere solidali, il messaggio finale dell’assemblea dei vescovi di Siria che si è svolta lo scorso 25 aprile ad Aleppo, sotto la presidenza del patriarca melkita Gregorios III Lahham e alla presenza del nunzio apostolico, mons. Mario Zenari. Nel testo, diffuso in questi giorni dal patriarcato greco melkita, si ribadisce anche l’appoggio ed il sostegno alla missione dell’inviato Onu, Kofi Annan, specialmente per quello che concerne il ritiro delle truppe dai centri abitati: “Siamo al fianco del nostro popolo siriano, alla ricerca di una vita dignitosa, dell’unità nazionale, della solidarietà fra tutti i diversi gruppi sociali, religiosi e nazionali, nel portare avanti un effettivo processo di riforme da realizzarsi nel campo sociale, politico e culturale, coordinando gli sforzi di tutti i siriani, Governo, partiti, Opposizione, nel quadro dell’unità nazionale e della partecipazione attiva al dialogo…  Lo Stato ha invitato al dialogo ed esortiamo tutti i partiti nazionali in patria e all’estero a formare una nuova Siria democratica multi-partitica”.

E l’assemblea dei vescovi ha indicato nel dialogo come antidoto alla violenza che ‘ha superato ogni limite’: “Condanniamo fermamente ogni tipo di violenza da qualunque parte essa provenga; chiediamo ai cittadini pacifici di non farsi coinvolgere nei conflitti politici, alle persone di non farsi intimidire e terrorizzare dai sequestri di persona, dalle stragi, dalle estorsioni, dalle demolizioni di case, dal sequestro dei beni e dall’imposizione dell’autorità con la forza e l’oppressione”. Infine i vescovi siriani è hanno espresso solidarietà a tutti i cittadini, “siano essi civili o militari, colpiti dagli eventi e dal ciclo doloroso della violenza di questi ultimi tredici mesi. Ma un pensiero particolare è rivolto ai nostri fedeli cristiani, che sono stati costretti a lasciare le loro case, città o villaggi. A volte sono stati usati come scudi umani e i loro quartieri come campi di battaglia. Faremo del nostro meglio per aiutarli attraverso Caritas Siria e tutte le nostre istituzioni, per cercare di soddisfare i loro bisogni materiali, pastorali, sanitari e sociali”.

E da Madre Agnese Maria della Croce arriva una drammatica testimonianza da Homs: “A Homs, città di un milione di abitanti, i due terzi della popolazione sono fuggiti. Più del 90% dei cristiani sono fuggiti, spesso senza avere il tempo di portare nulla con sé. Centinaia di famiglie cristiane hanno abbandonato Homs e la sua provincia per rifugiarsi nella Valle dei Cristiani, a Damasco o nella sua provincia. I vostri aiuti sono arrivati e sono già stati distribuiti. Tantissime grazie! Quando potremo raggiungere il parroco di Bab Sbah, a Homs, ci darà la lista delle famiglie che ne hanno beneficiato. Questo perchè possiate continuare ad aiutare serenamente, i vostri doni arriveranno tutti a destinazione. Alcune famiglie sono ritornate per sorvegliare i loro beni.

Una di loro racconta questo episodio: ‘Abbiamo aperto la porta ed ecco!, il salone era pieno di gente. Ci hanno portato i nostri pigiami e hanno mangiato insieme a noi. Gli abbiamo chiesto cosa volessero. Imbarazzato il loro capo ci ha detto: quando volete vi renderemo la vostra casa. Ma la realtà si impone, siamo costretti a lasciarli fare ed arrenderci all’evidenza. La nostra casa non è più nostra’. Perchè diciamo che la gente è stata ‘costretta’ a partire? Perchè progressivamente, ma efficacemente le fazioni armate dell’opposizione siriana hanno operato quella che può essere definita una ‘redistribuzione demografica’. Grazie ai franchi tiratori e ad atti di aggressione criminale hanno terrorizzato la popolazione civile non gradita: le minoranze alauita, cristiana, sciita ed anche molti sunniti moderati che non hanno voluto partecipare alle attività dei ribelli. Non è un genocidio massiccio, ma una liquidazione lenta…

In particolare tutti i protagonisti della vita civile sono diventati un bersaglio privilegiato del terrorismo camuffato da resistenza armata: conducenti di taxi, mercanti ambulanti, portalettere, e soprattutto funzionari dell’amministrazione civile sono le vittime innocenti di atti che hanno superato il semplice assassinio per assumere gli aspetti più barbari del crimine gratuito: persone sgozzate, mutilate, sventrate, fatte a pezzi e gettate agli angoli delle strade o nell’immondizia. Non si è esitato a sparare su bambini per diffondere la disperazione come è stato nel caso del piccolo Sari, nipote del nostro tagliatore di pietre. Questi atti atroci sono stati sfruttati mediaticamente per attribuirne la responsabilità alle forze del Governo. Noi stessi abbiamo potuto vedere come funziona questo stratagemma in occasione di una visita a Homs. Quel giorno abbiamo potuto contare almeno cento cadaveri arrivati all’ospedale, vittime dell’accanimento gratuito delle bande armate affiliate all’opposizione… Da Hamidiyeh e dintorni fino a Wadi Sayeh, e più oltre Bustan Diwan, si è ripetuto il medesimo scenario: le bande armate costringono i Cristiani a partire, spesso con la forza, e saccheggiano le loro case, poi le utilizzano per installarvi delle famiglie sunnite profughe o per scopi militari. Ci hanno raccontato che le bande armate hanno bucato i muri divisori che separano le abitazioni per poter circolare attraverso il quartiere senza uscire nella strada. Dei quartieri interi si sono così trasformati in casematte”.

Ed anche il gesuita, padre Paolo Dall’Oglio, ha spiegato la persecuzione che i cristiani subiscono, perché scelgono la strada della non violenza: “La fascia d’opinione in Siria e all’estero alla quale appartengo per ‘natura’ è quella della resistenza non-violenta al quarantennale dispotismo locale, assieme al rifiuto della violenza come metodo di cambiamento politico. La scelta non violenta non può tuttavia giustificare che si condanni sempre e dovunque il diritto all’autodifesa d’un popolo. La Chiesa riconosce tale diritto, benché sottolinei sempre, ed io con lei, quanto pericoloso ed equivoco sia evocarlo e incoraggi sistematicamente a cercare vie pacifiche e a ridurre al massimo l’uso e le conseguenze della violenza. Oggi in Siria bisogna saper distinguere, tra le diverse fazioni della resistenza, quelle che appartengono a una galassia jihadista estremista tendenzialmente terrorista e quelle che invece corrispondono alla categoria della lotta armata di liberazione per ottenere diritti e non per conculcarli. La collettività internazionale deve operare delle distinzioni chiare e agire di conseguenza…

Mi preme rilanciare la proposta della creazione di laboratori di dialogo tra siriani all’estero, di diverse posizioni politiche, al fine di favorire quel dialogo democratico che è ancora impossibile in patria (questi laboratori sono in formazione a Ginevra, Parigi, Louvain, Milano…).  La speranza è che il dialogo intersiriano, promosso da mediatori capaci e generosi, possa elaborare concetti utili alla riforma e alla riunificazione nazionale. E’ incoraggiante registrare che in diversi paesi europei questa proposta sta prendendo concretamente forma. Nei giorni scorsi alcune giovani siriane si sono distese come morte nei grandi magazzini della capitale invocando la fine della violenza. Poi una serata con le candele contro la guerra è stata violentemente repressa davanti al parlamento. Chiediamo allo Spirito di profezia di mostrarci la via per raccogliere queste coraggiose testimonianze”.

 

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