Eutanasia, lasciamo stare papa Wojtyla

Ci risiamo: Giovanni Paolo II torna ad essere chiamato in causa nel dibattito sull’eutanasia. Lo ha fatto il radicale Marco Pannella, rilanciando una notizia già smentita e priva di fondamento circa il rifiuto delle cure, disposto dal pontefice. “Giovanni Paolo II – ha detto – è stato ascoltato quando ha permesso che la sua supplica: ‘lasciatemi tornare al Padre!’ fosse comunque resa pubblica. Papa Wojtyla sarebbe ora vivissimo (e nominalmente regnante) se si fossero usati contro di lui anche un decimo solo delle ‘cure’ che vengono imposte da potenti, che impongono a tutti torture indicibili e inedite con l’uso diabolico delle scoperte scientifiche e del Potere mondano, ai genitori e alla civiltà costituzionale italiana e internazionale avendo preso in ostaggio il corpo di Eluana”.

La polemica sulla fantomatica eutanasia del papa era nata l’anno scorso grazie al mensile MicroMega. L’accusa rivolta al pontefice defunto era quella di aver rifiutato i protocolli salvavita fino a 3 giorni prima della morte (ovvero l’alimentazione artificiale, tramite sondino nasogatrico), contraddicendo i principi della fede cristiana. Alla tesi avevano risposto in tanti, a cominciare da Luigi Geninazzi di Avvenire e da Luigi Accattoli del Corriere della Sera, che sul suo blog pubblicò una controinchiesta che smontava pezzo per pezzo il caso.
Una tempesta in un bicchiere d’acqua, che in modo pasticciato mise insieme, Piergiorgio Welby morto dopo essere rimasto senza respiratore, Terri Schiavo, lasciata morire per disidratazione e un malato terminale come il papa, deceduto tecnicamente per gli effetti di una setticemia, in un quadro già compromesso dal Parkinson. Con un effetto comico: un uomo che aveva avuto il merito di gridare al mondo la dignità dei malati e la sacralità della vita, ridotto a fautore della dolce morte, magari sfruttando le protezioni divine, legate al ruolo.
Fin qui, la cronaca. Al di là di tutto, oggi, come ieri, rimane un imbarbarimento del confronto culturale e religioso tra chi ha fede e chi no. Si rinuncia sistematicamente ad argomentazioni serie e ad un approccio secondo ragione, si mette in secondo piano il paragone legittimo tra diverse visioni del mondo e, soprattutto, non si dà alcun valore al rispetto. È l’epoca dei Piergiorgio Odifreddi che giustificano il proprio ateismo militante, dando dei cretini ai cristiani; delle Margherita Hack, che considerano i papi dei relitti del Medioevo solo perché non approvano l’eutanasia, dei salottieri che credono di screditare chi crede chiamando in causa il prete pedofilo di turno.
Il tutto si riduce così a puro declassamento intellettuale ed ideologico, ad uno spirito di autosufficienza che fa guardare dall’alto verso il basso e che porta a considerare degli imbelli chi la pensa diversamente. Eppure, atteggiamenti simili rischiano di fare terra bruciata, perché l’assenza di un dibattito pacato e ragionato non aiuta i credenti a dare ragione della propria speranza (stando sempre sulla difensiva) e il cosiddetto fronte laico a condividere un tratto della strada che, volenti o nolenti, unisce ogni uomo. Finché i pregiudizi saranno l’unica chiave di lettura, capirsi continuerà ad essere un’impresa difficile e anche inutile. Un’argomentazione ci salverà?