La mia Pasqua in Bulgaria

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A Velinko Tarnovo, cuore antico e città universitaria della Bulgaria, nella Chiesa dei Santi Quaranta Martiri è conservata una colonna sulla quale il Chan protobulgaro Omurtag ha scritto: “L’uomo, anche se vive bene, muore, e un altro nasce. Colui che nascerà più tardi, quando vedrà questa scritta, si ricordi di chi l’ha composta”. Nel 2002 quando Giovanni Paolo II visitò la Bulgaria nei giorni della festa dei Santi Cirillo e Metodio venne a ricordare la necessità dell’unione dei cristiani e la forza dell’esempio della fede. Dieci anni dopo la Bulgaria sembra ancora lontana dall’ aver recuperato a livello popolare le forza della fede. E del resto come in ogni transizione, il post comunismo è un cammino lungo e difficile. Quando si dice “maggioranza bulgara” o stile bulgaro si pensa ad un fatto politico. ma in effetti la Bulgaria vive in mondo molto “bulgaro” e in certo modo efficiente. Mentre oggi la politica bulgara sta vivendo ancora una confusione di partiti vecchi e nuovi che cercano una loro strada verso una democrazia che in effetti sembra non esserci mai stata. Ecco che significa in senso politico “bulgaro”. La storia di questo paese così poco conosciuto è davvero strana.

Origini antichissime, poi l’ Impero romano, le invasioni dei Goti prima e infine dei Bulgari che ne hanno creato la vera identità nazionale. E infine gli ottomani che hanno “spalmato” tutto con la cultura turca e islamica che ha reso debole la chiesa ortodossa che si è “ ritirata” nei monasteri, bellissimi e chiusi, unico riferimento per la cultura. Le eresie, come quella Paoliciana e poi le consuetudini semi pagane delle campagne, l’arrivo dell’ Islam, le missioni del XVII secolo e infine la Rinascenza, il risorgimento bulgaro che ha portato, dopo il crollo degli imperi, il vero periodo cui la Bulgaria deve il suo grazie in epoca moderna. Nasce un Partito democratico che sopravvive anche al comunismo e che oggi tenta una rinascita, si sviluppa la cultura che donerà al mondo anche un premio nobel come Cametti. Ruse, il paese dove è nato, conserva ancora una antica aura di nobiltà nel cento storico seviziato dall’architettura di regime. Al confine con la Romania, Ruse serve da “supermercato” per i fratelli più latini e più poveri. Oggi è un centro industriale con gasdotti e centrali nucleari che fanno pensare ad un film di 007. Una zona di confine vivace ed interessante con una atmosfera da romanzo di spionaggio da supermercato. Alberghi di lusso frequentati da giovani prostitute che sembrano più che altro ragazze che cercano di sopravvivere. Loschi figuri seduti ai tavolini da caffè, ricchi russi con automobili esagerate per un pese dove ci sono solo pochi chilometri di autostrada. Una vitalità che lascia trasparire una grande miseria. Il salario medio in Bulgaria è di 300 euro, circa 650 Leva.

Nelle città però i prezzi comincino ad essere “europei” e il turismo se da un lato porta soldi, dall’altro stimola uno squilibrio tra campagna e città. I contadini girano ancora con i carretti trainati dall’asino mentre nelle città si vive all’occidentale. Romantico, certo, ecologico, si potrebbe dire, ma il fatto è che la causa è una divario incredibile tra ricchi e poveri, tra gente che non ha mai avuto nulla, che ha lavorato nel grande latifondo di stato e ora non sa come fare, e i nuovi ricchi legati a traffici internazionali non sempre cristallini. Il Governo ha organizzato una Agenzia per gli investimenti stranieri. Lo guida un giovane che ha studiato in Inghilterra, Usa e Russia e lavorato a Dubai. E pensa al mercato cinese. L’idea è quella di far arrivare capitali, ma da usare poi come? Certo cellulari e wi-fi sono dappertutto, ma nelle città basta uscire dal centro per vedere lo squallore e l’abbandono in ogni aspetto. E poi c’è l’EU che sovvenziona musei, che restano sempre chiusi e vigne con uve non locali mentre ospedali e pronto soccorso si devono accontentare di strutture di almeno 50 anni fa. Come a Nessebar. Un centro turistico, pieno di alberghi, per lo più costruiti abusivamente. Ad aprile, certo la stagione non è iniziata e negozi e ristoranti del suggestivo centro antico sono chiusi. Ma l’ospedale dovrebbe essere uguale anche fuori stagione. Arrivo per un incidente da poco, una brutta distorsione della caviglia. Mi prende e mi riaccompagna l’ambulanza è vero, ma devo salirci da sola. Il posto è deserto. Vedo solo un paio di donne islamiche rannicchiate da una parte. Sciatteria e trasandatezza che, purtroppo, troviamo spesso anche nei nostri ospedali.

Con gentile svogliatezza una infermiera con le unghie non proprio candide mi porta alla sala raggi. E lì vedo la vera differenza con l’ Italia. Sembra una antica sala di tortura. Diversi apparecchi insieme, in un grande salone. Tutto è grigio-marrone e l’apparecchio dei raggi forse è ante bellico, magari un dono della Regina Giovanna di Savoia, madre di Simeone, il Re che è tornato dopo il comunismo a fare il primo ministro. E qualcuno dice sostenuto dal KGB. Tutto è estremamente degradato nonostante il tentativo della gente di mantenere una grande dignità. Chissà cosa ne penserebbero i Santi Cirillo e Metodio che tanto fecero per lo sviluppo di questa parte d’ Europa.

Torna alla mente quello che disse Giovanni Paolo II nel Palazzo della Cultura a Sofia. Accanto all’ Europa della cultura, del lavoro “vi è purtroppo un’Europa dei regimi dittatoriali e delle guerre, un’Europa del sangue, delle lacrime e delle crudeltà più spaventose.” per questo forse cresce lo scetticismo e “l’indifferenza davanti allo sfaldarsi di fondamentali capisaldi morali del vivere personale e sociale. Occorre reagire. Nel preoccupante contesto contemporaneo è urgente affermare che, per ritrovare la propria identità profonda, l’Europa non può non fare ritorno alle sue radici cristiane.” La speranza e la dignità tolta ai popoli dalla storia può essere restituita solo dalla verità e dalla fede, penso, mentre davanti a me le cupole dorate della cattedrale patriarcale Alexander Nevski di Sofia scintillano al sole e metto in valigia un uovo dipinto che mi hanno appena regalato, perchè nel cuore dell’ uomo c’è sempre la Pasqua.

 

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