L’Arsenale della pace di Torino compie 25 anni. Ernesto Olivero a Korazym: cristiani 24 ore su 24

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Stupore e gratitudine. Sono i sentimenti con cui Ernesto Olivero e la fraternità del Sermig vivono una tappa importante della loro storia: i 25 anni dall’ingresso nel vecchio arsenale militare di Torino, trasformato negli anni in “Arsenale della Pace”. Un’oasi di preghiera, spiritualità e carità, dove l’esperienza iniziale di giovani impegnati contro la fame nel mondo è cresciuta e maturata, diventando comunità religiosa di consacrati, giovani e famiglie, a servizio degli ultimi.
Oggi il Sermig è presente con propri arsenali a Torino, San Paolo del Brasile e Madaba in Giordania, oltre a sostenere centinaia di progetti di sviluppo in ogni angolo del mondo.

Ernesto Olivero, cosa dire del cammino di questi 25 anni?
“Quando il 2 agosto del 1983 siamo entrati nel rudere del vecchio arsenale, non avrei mai immaginato di vedere quello che ho visto negli anni successivi: la coerenza e l’impegno, ma anche in certi casi la prevenzione e la cattiveria. Con il tempo, l’arsenale è diventato una porta su Torino e su tante città del mondo, donando speranza a tanta gente. Il sentimento di oggi è la gratitudine e la riconoscenza a Dio che ha voluto questa meraviglia. Quando siamo entrati il nostro bilancio era limitato, eppure abbiamo restaurato il luogo e coinvolto nella nostra avventura oltre 100mila persone”.

Qual è la speranza per il futuro?
“La realtà dell’arsenale fa capire quante energie l’uomo porti dentro al cuore, quante potenzialità. Penso sempre a Gesù, quando ricordava ai discepoli che avrebbero potuto fare le sue stesse cose e anche di più grandi. E’ questa la mia speranza: continuare a dire grazie, riconoscere che Dio è disponibile ad agire nella nostra vita sempre, quando abbiamo le idee chiare e quando non le abbiamo. Se noi riconosciamo il suo primato, Dio ci renderà nuovi, desiderosi di entrare sempre più nei suoi pensieri”.


La facciata dell’Arsenale e il cortile interno

Il primato di Dio richiama la spiritualità che anima ogni opera concreta del Sermig. E’ stato difficile farlo capire alla gente, specie in passato, in anni di contrapposizione ideologica?
“Non abbiamo mai cercato di farlo capire. La gente prova stupore se vede la bontà. E se di fronte a persone disponibili 24 ore su 24, qualcuno si interroga sul perché, capisce che tutto questo non sarebbe possibile senza spiritualità”.

La vostra spiritualità è racchiusa anche nella regola “Sogno che tra cent’anni”, pubblicata da poco (Edizioni Effatà). Qual è il filo conduttore?
“E’ un bicchiere d’acqua fresca, una storia spirituale che per me è diventata regola e speranza che anche tra cent’anni possiamo continuare a fare cose belle. La convinzione di fondo è che sia necessario essere cristiani sul serio. Chi vuole diventare un grande calciatore deve allenarsi. Bene, Gesù è molto più importante, perché un cristiano può far felice gli altri, può donare speranza. Eppure, un cristiano che non vive davvero la spiritualità, chi è?”.


La Croce dei dolori del mondo della cappella dell’Arsenale e il muro che accoglie i visitatori

Chi è?
“Non voglio dare giudizi, però mi sono reso conto che per provare a vivere da cristiano ho bisogno di pregare molte ore al giorno, di leggere costantemente la parola di Dio, di confrontarmi con uomini e donne di Dio per crescere. Invece, noi cristiani, in generale, abbiamo la mentalità che in fondo basti un ‘pezzo di messa’. E’ come se un ragazzo e una ragazza che vogliono sposarsi, decidessero di vedersi mezzora alla settimana. Sarebbe una tragedia, eppure con Dio usiamo spesso questa logica. Oggi si parla della crisi del cristianesimo: il problema non è che Dio sia morto o non dia più risposte. Anzi. Il punto è che non aiutiamo i giovani a credere che quello con Dio è l’appuntamento più importante della vita, da vivere, direi da mangiare, ogni giorno”.


Giovani all’Arsenale, intorno alla bandiera della pace del Sermig

Per il Sermig, i giovani sono da sempre una priorità. Perché?
“Dobbiamo riconoscere che oggi i giovani non valgono nulla, quando invece dovrebbero essere il miglior guadagno della società. Al contrario, le nuove generazioni sono impaurite, pensano che se non hai sette amanti non vali nulla, se non sei ricco sfondato non vali, se ti metti dei limiti sei stupido. Il modello che passa è questo e i giovani ci sono cascati, soprattutto per colpa degli adulti che hanno dato l’esempio. Per questo, noi pensiamo che il mondo adulto debba chiedere scusa e cambiare”.

La foto: Ernesto Olivero

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