Con due mani giunte
“In nessun altro argomento – asseriva S. Agostino – la fede cristiana incontra tanta opposizione come a proposito della risurrezione della carne”. La centralità del cristianesimo è, infatti, determinata dal mistero della risurrezione di Cristo, e la straordinarietà di questo avvenimento incide a tal punto nella vita dell’uomo (partecipe del mistero di Cristo) che la fede cristiana mette in relazione la risurrezione di Cristo con quella nostra. Quando la Chiesa parla, infatti, di risurrezione della carne dice che: “Dopo la morte, non ci sarà soltanto la vita dell’anima immortale, ma che anche i nostri corpi mortali (Rm 8,11) riprenderanno vita” (CCC n. 990); e ancora: “Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai nostri corpi riunendoli alle nostre anime, in forza della Risurrezione di Gesù” (CCC, n. 997). Il cristianesimo ha sempre guardato con grande rispetto alla corporeità umana. Nell’uomo, infatti, la materialità (corpo) e la spiritualità (anima) sono espressione di unità, e tale unità diventa comprensibile solo se ci si orienta a Cristo, che (vero Dio e vero uomo) “fece – come ricorda Tertulliano – della sua carne il cardine della salvezza”. Pertanto il mistero della corporeità umana va letto in relazione con Dio. “Solo il cristianesimo – precisa R. Guardini – ha osato mettere il corpo nelle profondità più nascoste di Dio”.
Certamente per rintracciare i segni di questa realtà bisogna ritornare ai piedi della Croce, dalla quale scaturisce l’origine della salvezza; il luogo dove la morte assume un significato diverso rispetto alla logica umana e una profondità carica di speranza che Cristo stesso ha voluto personalizzare attraverso il dono incondizionato di sé. Si stabilisce, così, un particolare rapporto di vitalità tra Cristo e l’uomo, talmente forte e sacramentale da abbracciare perfino la realtà terrena nella quale l’uomo vive ed è redento e attraverso la quale Cristo redime e si fa presenza. In seguito al sacrificio di Cristo l’avvenimento della morte terrena non è più motivo di preoccupazione per l’uomo. Egli è stato redento dal sangue di Cristo, la sua vita è cambiata non perché lo ha raggiunto improvvisamente un incantesimo divino ma perché in lui è stato fissato un nuovo principio. “Non c’è nulla di cui preoccuparsi. La morte – scriveva il celebre poeta russo B. Pasternàk – non esiste. La morte non riguarda noi […]. Non vi sarà morte, dice Giovanni Evangelista… perché il passato è ormai trascorso. Quasi come dire: non vi sarà morte, perché questo è già stato visto, è vecchio e ha stancato, e ora occorre qualcosa di nuovo e il nuovo è la vita eterna”. Le considerazioni proposte delineano i tratti caratteristici di ciò che potremmo definire la personalità del cristiano.
L’evento della Risurrezione di Cristo, infatti, ha permesso all’uomo di assumere una nuova forma, un nuovo abito (si pensi al sacramento del Battesimo) con il quale rivestire tutti gli aspetti della propria vita; il segno distintivo di una appartenenza a Cristo che diventa riconoscibile in ciò che diciamo e operiamo, ma soprattutto nell’amore che abbiamo ricevuto e donato. A ciascun uomo, così, è consentita – nel rispetto della propria libertà – una imitazione di Cristo che scaturisce dalla scelta fondamentale tra il vecchio e il principio nuovo che c’è in noi. Tale opzione – direbbe Pascal – non è per niente facoltativa. E’ necessario operare una scelta, prendere consapevolezza della sacralità del proprio corpo e della propria anima, perché tutto ciò che è in noi possa uniformarsi a Cristo. Nell’uomo, dunque, nella sua essenza – strutturalmente composta dall’unione dell’anima e del corpo – è custodito il mistero della propria salvezza o della propria dannazione.
“Lei l’immortale, e lui mortale e morto ma risuscitato, / Lui essendo soltanto diventato un corpo glorioso. / Come le due mani sono giunte nella preghiera, / E una non è più ingiusta dell’altra, / Così il corpo e l’anima sono come due mani giunte. / E l’uno e l’altra insieme entreranno insieme nella vita eterna. / E saranno due mani giunte, insieme, per ciò che è infinitamente più della preghiera. / E infinitamente più del sacramento. / O tutti e due insieme ricadranno come due polsi legati / Per una cattività eterna / […] Così il Signore Dio ha attaccato il corpo all’anima / […] Perché nessuno dei due, né l’uno né l’altra sarà salvato senza l’altro. / Non abbiamo scelta. Dobbiamo essere due mani giunte o due polsi legati” (C. Péguy, Da Il portico del mistero della seconda virtù).