PIlato secondo Ratzinger

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Chi era Ponzio Pilato? Oggi, durante la funzione del Venerdì Santo, si legge il Passio secondo Giovanni. Ed è Giovanni l’unico degli evangelisti a dare conto del colloquio tra Pilato e Gesù, e in questo modo a tratteggiare una figura di Pilato molto ben definita. E Pilato siamo tutti noi, dice Joseph Ratzinger nel suo Gesù di Nazaret. Una figura tanto importante che Benedetto XVI l’ha descritta anche nell’omelia a Plaza de la Revoluciòn a La Habana, Cuba, la scorsa settimana.  Nella Passione secondo Ratzinger, Pilato è un personaggio che è anche un paradigma dei nostri tempi. Attraverso il quale si può leggere in controluce il Pontificato. “L’immagine di Pilato nei Vangeli – scrive Benedetto XVI – ci mostra il prefetto romano molto realisticamente come un uomo che sapeva intervenire in modo brutale, se questo gli sembrava opportuno per l’ordine pubblico. Ma egli sapeva anche che Roma doveva il suo dominio sul mondo non da ultimo alla tolleranza di fronte a divinità straniere e alla forza pacificatrice del diritto romano. Così egli ci si presenta nel processo a Gesù”.

 

Pragmatico, consapevole che il potere di Roma veniva anche dalla tolleranza data alle altre fedi, sorpreso che i Giudei – ovvero l’aristocrazia del Tempio – si erano presentati a lui come amici di Roma chiedendo un suo intervento che, in base alle sue conoscenze non era necessario, consapevole che da Gesù non era sorto un movimento rivoluzionario, Pilato aveva probabilmente considerato Gesù come un esaltata religioso, che forse violava gli ordinamenti giudaici riguardanti la fede. E questo era un aspetto che non gli interessava.

Ed ecco Gesù di fronte a Pilato. “Dunque tu sei re?”, chiede Pilato. E Gesù risponde: “Tu lo dici: di sono re”. Ma il regno di Gesù –  lo aveva detto in precedenza – “non è di questo mondo. Se il mio regno fosse di questo mondo i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”.

“Questa «confessione» di Gesù – scrive Ratzinger – mette Pilato davanti ad una strana situazione: l’accusato rivendica regalità e regno (basileía). Ma sottolinea la totale diversità di questa regalità, e ciò con l’annotazione concreta che per il giudice romano deve essere decisiva: nessuno combatte per questa regalità. Se il potere, e precisamente il potere militare, è caratteristico per la regalità e il regno, niente di ciò si trova in Gesù. Per questo non esiste neanche una minaccia per gli ordinamenti romani”.

Ma quali sono le caratteristiche del regno di Gesù? “Questo regno – scrive il Papa – è non violento. Non dispone di alcuna legione. Con queste parole, Gesù ha creato un concetto assolutamente nuovo di regalità e di regno mettendo Pilato, il rappresentante del classico potere terreno, di fronte ad esso”. Gesù va oltre: per rendere accessibile l’essenza e il carattere particolare del potere di questa regalità, non parla di autorità, ma “qualifica come essenza della sua regalità la testimonianza alla verità”.

“Che cos’è la verità?” La domanda di Pilato – pragmatica – resta sospesa. E rappresenta la domanda per eccellenza della gestione del potere. “È la domanda – scrive il Papa – che pone anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la verità come categoria per la sua struttura? O deve lasciare la verità, come dimensione inaccessibile, alla soggettività e invece cercare di riuscire a stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell’ambito del potere? Vista l’impossibilità di un consenso sulla verità, la politica puntando su di essa non si rende forse strumento di certe tradizioni che, in realtà, non sono che forme di conservazione del potere?” Ma in fondo, cosa sarebbe il mondo senza verità?

Eppure Pilato accantona la domanda come irrisolvibile. Al termine del colloquio con Gesù, è chiaro per Pilato che Gesù non è un rivoluzionario, non contravviene alle leggi romane. Resta in Pilato, la paura di stare condannando davvero qualcuno in cui c’è qualcosa di divino. Una paura cui i Giudei contrappongono  – dice Ratzinger – “la paura molto concreta di restare privo del favore dell’imperatore, di perdere la posizione e di precipitare così in una situazione senza sostegno. L’affermazione: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare» (Giovanni, 19, 12), è una minaccia.

“Cooperatotes veritatis” è il motto episcopale scelto da Benedetto XVI. La verità divide, crea dissenso, difficoltà. Benedetto XVI, dopo aver revocato la scomunica a quattro vescovi lefevbriani, si trova il fuoco incrociato delle critiche del suo stesso episcopato contro. Scrive una lettera ai vescovi, racconta il perché di alcune leggerezze, le ammette, ma si risente dei confratelli “pronti a mordere e divorare” che hanno creato la polemica.

Lui avrebbe potuto preferire la pace, come ha fatto Ponzio Pilato. Lo racconta, Ratzinger, in un altro passaggio cruciale del libro, quello dedicato al governatore Romano. Sapeva che Gesù non era un rivoluzionario. Sapeva che non costituiva un pericolo politico. Conosceva la verità. Ma alla fine “vinse in lui l’interpretazione pragmatica del diritto: più importante della verità del caso è la forza pacificante del diritto, questo fu forse il suo pensiero e così si giustificò davanti a sé stesso. La pace fu in questo caso per lui più importante della giustizia”. Ma, “in ultima analisi, la pace non può essere stabilita contro la verità”.

 

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