Una giornata contro le mine antipersona

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Il 4 aprile, ogni anno, si celebra la Giornata Internazionale per la sensibilizzazione sulle mine antipersona, promossa dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per respingere l’uso indiscriminato di questi dispositivi e creare consapevolezza circa la crescente minaccia per le persone. Sotto lo slogan ‘Per un giorno cerchiamo di essere nella sua scarpa!’, 15 Organizzazioni governative e non governative cercheranno di sensibilizzare la popolazione della Colombia riguardo a questo problema. Dopo l’Afghanistan, la Colombia è il Paese con il maggior numero di vittime al mondo: nel 2010 ci furono 482 vittime delle mine antipersone; dal 1990 al dicembre 2011, ci sono state 9.174 persone vittime di questo flagello, di cui 870 minori, 3.408 civili e 5.695 militari.

 

 

Nel 2004, quando si svolse a Nairobi la Conferenza di esame della Convenzione sulla proibizione delle mine antipersona, papa Giovanni Paolo II inviò un messaggio, indirizzato all’ambasciatore Wolfgang Petritsch, rappresentante dell’Austria presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite a Ginevra e presidente della Conferenza, in cui ricordava che la Santa Sede è stata una delle prime a ratificare la Convenzione di Ottawa, che come questa Conferenza aveva come obiettivo “la proibizione dell’impiego, dell’immagazzinamento, della produzione e del trasferimento delle mine antiuomo”, così come “la loro distruzione”.

Eppoi scrisse che “la Santa Sede ha lanciato una campagna di sensibilizzazione tra le Chiese locali rispetto al problema delle mine antiuomo, diffondendo informazioni su questo grave problema, sollecitando un impegno attivo in questo senso e chiedendo preghiere per le vittime delle mine antiuomo e per il successo della Conferenza… E’ necessario continuare con gli sforzi, soprattutto nei campi della distruzione dei depositi di munizioni, dello sminamento e della reintegrazione socioeconomica delle vittime di queste armi… Le mine antiuomo uccidono e mutilano molte vittime innocenti e danneggiano gravemente l’economia dei Paesi in via di sviluppo, privandoli di numerose terre agricole minate, essenziali per la sopravvivenza di queste Nazioni, questo deve finire!”.

Si calcola che ogni anno 10 000 persone perdono la vita a causa delle mine antipersona; ancora più numerosi sono i civili, soprattutto donne e bambini, che subiscono danni irreversibili. Malgrado gli sforzi internazionali per ridurre le conseguenze delle mine antipersona in tutto il mondo, in circa 65 paesi si pone ancora il problema di mine e ordigni inesplosi. L’impegno dell’UE per la campagna internazionale è sia politico che finanziario. Per  acquistare una mina si spendono circa 30 dollari, ma per rimuoverla qualche centinaio. Il costo minimo di un arto artificiale è circa 130 dollari, ma un bambino mutilato dovrà cambiare circa 15 volte l’arto durante la sua vita. I costi ospedalieri per ferite da mina comprendono anche una degenza di oltre un mese.

Dal 1997 l’Unione Europea sostiene l’obiettivo generale del trattato sulla messa al bando delle mine antipersona, la Convenzione di Ottawa.  Infatti l’articolo 2 di suddetta convenzione recita: “Si definisce ‘mina anti-persona’ una mina progettata in modo tale da esplodere a causa della presenza, prossimità o contatto di una persona e tale da incapacitare, ferire o uccidere una o più persone”. L’Italia, è il secondo produttore mondiale di armi e questo suo comparto industriale è causa di decine di migliaia di morti, mutilazioni e distruzioni ogni anno. Anche se ha interrotto la produzione di mine e si è impegnata a riparare ai danni causati dalla sua produzione con una moratoria nel 1994 e attraverso l’adesione al trattato di Ottawa nel 1997, tuttavia, ha smesso da anni di investire fondi nelle operazioni di bonifica delle mine anti-persona e ha proseguito nella produzione dei componenti che servono per assemblare le mine.

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