A Cuba i diritti umani restano un problema

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La visita, che papa Benedetto XVI sta per intraprendere a Cuba si svolge in un clima diverso da quello in cui ebbe luogo, nel 1998, il viaggio di papa Giovanni Paolo II: infatti le differenze riguardano innanzitutto  le relazioni tra la Chiesa locale e il governo, migliorate in questi ultimi 14 anni fino a culminare nell’inedita mediazione svolta dal cardinale Jaime Ortega y Alamino, arcivescovo dell’Avana, e dal presidente della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba, monsignor Dioniso Garcia, ordinario di Santiago de Cuba, per la liberazione di 126 detenuti, tra cui tutti quelli considerati ‘prigionieri di opinione’ da Amnesty International. Ad essi si sono aggiunti i quasi 3000 destinatari dell’indulto, deciso dal governo su richiesta delle Chiese cattolica e protestanti, anche in vista dell’arrivo del papa.

 

 

Concludendo il Rapporto centrale al VI Congresso del Partito comunista di Cuba, svoltosi nello scorso aprile, Raùl Castro aveva sottolineato la necessità di ‘eliminare qualsiasi pregiudizio che impedisca di affratellare nella virtù e nella difesa della nostra Rivoluzione tutte le cubane e tutti i cubani, credenti o non credenti, quanti fanno parte delle Chiese cristiane, tra cui quella cattolica, quelle ortodosse russa e greca, quelle evangeliche e protestanti, al pari delle religioni cubane di origine africana, delle comunità spiritiste, ebree, musulmana, buddhista’, riferendosi alla scarcerazione di ‘detenuti controrivoluzionari’, avvenuta ‘nel quadro di un dialogo fatto di reciproco rispetto, lealtà e trasparenza con l’alta gerarchia della Chiesa cattolica, la quale ha contribuito con la propria iniziativa umanitaria a che tale operazione si concludesse armoniosamente e i cui meriti, in ogni caso, spettano a questa istituzione religiosa. I rappresentanti di questa Chiesa hanno espresso i propri punti di vista, non sempre coincidenti con i nostri, ma costruttivi’.

Quindi anche la Chiesa sta sostenendo la necessità di una ‘riconciliazione nazionale’ tra tutti i cubani che consenta un cambiamento del modello sociopolitico ed economico, con riforme che possano condurre a una ‘democrazia con caratteristiche cubane’, secondo quanto ha espresso recentemente monsignor Emilio Aranguren. Ma il processo di democraticizzazione è ancora lungo, secondo quando ha denunciato Amnesty International, che in un nuovo rapporto, intitolato ‘Repressione ordinaria: persecuzione e brevi periodi di carcere politico a Cuba’, ha parlato di aumento dei casi di persecuzione e di detenzione di attivisti politici, giornalisti e blogger negli ultimi 24 mesi.

Secondo la Commissione cubana per i diritti umani e la riconciliazione nazionale, da gennaio a settembre del 2011 vi sono stati 2784 casi di violazione dei diritti umani, per lo più brevi periodi di carcere per i dissidenti, ossia 710 casi in più rispetto all’intera durata del 2010. Dal marzo dello scorso anno, oltre 65 giornalisti indipendenti sono stati imprigionati, nella maggior parte dei casi più di una volta. Gerardo Ducos, ricercatore di Amnesty International sui diritti umani a Cuba , ha denunciato la grave situazione: “Le tattiche sono cambiate, ma la repressione è forte come sempre, ha dichiarato. Dopo i rilasci di massa dei prigionieri di coscienza nel 2011, le autorità hanno affilato la loro strategia per zittire il silenzio perseguitando attivisti e giornalisti con brevi periodi di carcere e azioni pubbliche di ripudio”. Le autorità cubane non tollerano alcuna critica alle politiche di stato al di fuori degli spazi istituzionali che sono sotto i controllo del governo.

Le leggi in materia di ‘disordini pubblici’, ‘disprezzo’, ‘mancanza di rispetto’, ‘pericolosità’ e ‘aggressione’ sono usate per perseguitare gli oppositori. Nessuna organizzazione politica o per i diritti umani può ottenere il riconoscimento legale.  Gli attivisti per i diritti umani e i giornalisti indipendenti sono trattenuti per periodi che variano dalle poche ore ad alcuni giorni, nelle stazioni di polizia come nei centri di detenzione, dove spesso subiscono interrogatori, intimidazioni, minacce e, in alcuni casi, anche pestaggi. In molti casi, le autorità non informano le famiglie sulle ragioni dell’arresto o sul luogo di detenzione dei loro cari: “La repressione nei confronti dei diritti umani sta peggiorando. Vogliamo che gli attivisti siano in grado di svolgere il loro legittimo lavoro senza timore di rappresaglie”, ha concluso Ducos.

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