I vescovi della Sicilia e la comune responsabilità per Palermo

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“Una comune responsabilità per Palermo” è il documento pubblicato in questi giorni dal Consiglio presbiterale e dal Consiglio pastorale della Diocesi di Palermo, in vista delle prossime elezioni amministrative; “un contributo – dichiara il card. Paolo Romeo, arcivescovo della città panormitana – per vivere insieme questo momento così importante nella storia della nostra città”. “Questo – precisa mons. Romeo – non vuole essere un documento di condanna, ma vuole coinvolgere tutti i soggetti, anche gli stessi candidati. Adesso si parli di programmi, di cui ancora non ha parlato nessuno. Vogliamo conoscere innanzitutto l’equipe di lavoro dei candidati per conoscere ciò che vogliono fare per il bene di Palermo nel campo del welfare, ma non solo”. Le considerazioni proposte nel documento mettono in luce la grave difficoltà socio-economica vissuta “da troppo tempo” nel capoluogo siciliano e ulteriormente aggravata dalla recente crisi nazionale.

“La perdita emorragica di posti di lavoro e il processo di inesorabile erosione della base produttiva diffusa in tutti i settori di attività economica, l’accentuazione dei processi migratori di parte rilevante del capitale umano e intellettuale soprattutto giovanile, il continuo declassamento nelle graduatorie nazionali dovuto al peggioramento della qualità della vita e dell’ambiente, all’aumento della povertà assoluta e relativa e l’inefficienza di molti servizi pubblici essenziali sono solo – si legge nel documento – alcuni dei sintomi di una profonda vulnerabilità economica e di una preoccupante fragilità sociale che la nostra città ha visto aggravarsi nell’ultimo decennio”. In aggiunta alle connotazioni rilevate dalla diocesi palermitana “l’incapacità degli amministratori locali di comprendere la reale gravità di tali problemi, nonché la mancanza di efficaci politiche pubbliche capaci di attivare un qualche governo locale di tali processi”.

Un giudizio molto critico, e condiviso da tantissimi cittadini, nei confronti di un’amministrazione pubblica non sempre all’altezza del proprio compito. E’ necessaria allora, soprattutto per le giovani generazioni “l’elaborazione di un nuovo modello di governo della città che, accogliendo la complessità come sfida, sappia farsi carico con responsabilità dell’urgenza ed ineludibilità di un cambiamento drastico di rotta”. A Palermo le iniziative economiche private non sono in grado di esprimersi liberamente e pienamente, pertanto si rende necessaria una maggiore presenza dell’amministrazione pubblica che renda più agevoli le condizioni strutturali e infrastrutturali.

Serve – precisa il documento – “una nuova cultura del lavoro produttivo che s’imponga su quella della rendita e del privilegio, che abbia il coraggio di sottrarsi al condizionamento della mafia, e sappia realmente moltiplicare e far fruttificare i talenti di ciascuno”. Il diritto al voto rappresenta, dunque, un impegno prioritario e responsabile “frutto di una decisione consapevole, che muova dall’esame sia dei programmi che delle qualità umane – soprattutto della competenza – dei candidati”. L’invito della Diocesi palermitana è chiaramente sottolineato nella parte centrale del documento, là dove si ritiene urgente rinnovare la classe amministrativa siciliana attraverso preferenze elettorali che tengano conto del bene comune, della legalità, lontani dalla logica del clientelismo e garantendo effettive scelte di equità e solidarietà, in sintonia con il magistero della Chiesa cattolica. “Nessuno potrà continuare a barattare il proprio voto sulla base di promesse che sollecitano i bisogni individuali a scapito del Bene Comune.

A maggior ragione occorrerà prendere decisamente le distanze da quei soggetti che abusano e continuano ad abusare della politica locale mettendola al servizio dei propri interessi, invece di impegnarsi con tutte le proprie forze per costruire la casa comune. Sono sotto i nostri occhi le gravi situazioni di degrado culturale, umano e materiale che affliggono la nostra città, penalizzando pesantemente le fasce più deboli. Non possiamo rassegnarci a questo andazzo”.

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