Il profumo d’ Irlanda nei racconti di Maeve

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Una donna eccentrica eppure affascinante, bellissima ma dalla vita devastata dalla solitudine e dall’alcol, che ha lasciato una manciata di racconti e un romanzo breve. Eppure Maeve Brennan è una scrittrice che fa amare intensamente la vita e la bellezza, con le loro luci e ombre, che scopre l’incanto di certi momenti perfetti – in cui il tempo sembra sospeso e sembra concedere la grazia di capire ogni cosa- sia pure destinati a scomparire. Tutto questo viene ottenuto anche grazie ad una scrittura usata come un raffinato scandaglio della realtà, capace di catturare e restituire il mondo attraverso poche, cesellate frasi. La Brennan è nata nel 1917 a Dublino. Suo padre, ambasciatore irlandese negli Stati Uniti, la portò con sè in America a 17 anni. Entrò nella redazione del New Yorker nel 1949, dove era curatrice della rubrica “The talk of the Town”.

Si sposò con lo scrittore St. Clair McKelway, ma il matrimonio ebbe vita breve per i problemi di alcolismo del marito. Viveva in albergo circondata da gatti e dall’amatissimo labrador nero Bluebell. Soffrì di problemi psichici che andarono peggiorando: arrivò al punto di trasferire la propria dimora nei bagni delle donne della redazione del New Yorker. Morì in completa solitudine nel 1993. Quattro anni dopo venne scoperto il piccolo romanzo “La visitatrice”, pubblicato in italia da Rizzoli. Questo breve romanzo è stata un’autentica rivelazione. Racconta la storia di Anastasia, una ventenne orfana di entrambi i genitori, che decide di tornare nella Dublino della sua infanzia. Qui vive la nonna, madre di suo padre, consacrata all’ossessiva memoria del passato, chiusa in un dolore freddo, ancora incapace di perdonare Anastasia che aveva scelto, alla separazione dei genitori, di seguire la mamma a Parigi. Tra le due donne va in scena un crudele duello di sentimenti, intensi ma controllati, espressi da una tersa limpidezza di linguaggio. Tra amore desiderato e amore respinto, Anastasia si sente straniera e invisibile, la sua speranza di trovare finalmente una casa e una patria svaniscono, la vita ricomincerà a trascinarla nel suo vortice. Un tratto molto autobiografico, per l’autrice che visse praticamente sempre in albergo, in un perenne trasloco da una camera all’altra, concreta metafora di una vita senza radici.

Qualche mese fa è stata pubblicata, sempre da Rizzoli, la raccolta di racconti “La sposa irlandese”. In essi riemerge il tema della nostalgia per una patria volutamente perduta, l’Irlanda, dietro la quale, però, in un qualche modo, si nutre la nostalgia per la felicità possibile, per una patria “celeste” che si riflette nel cuore di ogni protagonista femminile di queste piccole, grandi storie. Proprio nel primo racconto, quello che da’ il titolo all’intera raccolta, la sposa irlandese è Margaret, una giovane donna emigrata negli Stati Uniti, i cui sogni si sono infranti ad uno ad uno e neppure il matrimonio riesce ad essere, per lei, motivo di gioia. L’uomo che dovrà sposare, Carl, non le piace veramente, fino in fondo, e si sente braccata dal destino verso il quale scivola senza potersi ribellare: lontana da casa, priva di ogni ricordo, anche tangibile, della sua infanzia, spaventata da un futuro marito che non ama. Rimane un lieve riflesso, una pallida luce che emana da un oggetto nascosto, citato una volta sola, quasi sperduto nella tristezza di questo giorno pre-nuziale: il rosario, l’unica cosa che Margaret ha portato con se’ dall’Irlanda.

Il tenue filo che la tiene legata alla terra, ai sogni di felicità, alla promessa che non è tutto perduto per sempre.

 

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