I Diritti dell’uomo, una universalità da difendere

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“I principi proclamati dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo già prevedono e provvedono che non ci sia discriminazione, per cui arrivare a proporre eventualmente dei diritti particolari va ad indebolire questo principio dell’universalità dei diritti come è stata finora intesa”. Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra, ha spiegato così a Radio Vaticana il senso dei discorsi che ha pronunciato alla sessione del Consiglio per i Diritti Umani in corso a Ginevra. Ha parlato della violenza contro i bambini nel mondo, perché – dice Tomasi – “ci sono circa 300 mila bambini che sono forzatamente reclutati in gruppi di combattimento, per sostenere più di 30 conflitti nel mondo; ci sono poi circa 115 milioni di bambini, su un totale di 215 milioni di minori lavoratori, che sono costretti a lavori pericolosi” e quindi è urgente “richiamare l’attenzione della comunità internazionale su questa realtà”; e ha parlato anche delle discriminazioni in base agli orientamenti sessuali e all’identità di genere.

 

È quest’ultimo un tema particolarmente caldo. Da tempo, il lavoro diplomatico della Santa Sede è tutto centrato sul tema dell’universalità dei Diritti Umani. Una universalità che viene messa a rischio. Proprio per questo motivo, nel 2008 non firmò una proposta della Francia che a nome dell’Onu proponeva una richiesta universale per la depenalizzazione dell’omosessualità. Perché depenalizzare il reato per un solo gruppo di persone, quando i Diritti Umani già prevedono l’uguaglianza di tutti gli esseri umani? Perché non applicare semplicemente l’universalità dei diritti umani, piuttosto che difendere le singole categorie, lasciando intendere che ci sono gruppi “più uguali degli altri”?

Si inserisce in questo solco il lavoro – oscuro, ma fondamentale – di Silvano Maria Tomasi come osservatore permanente della Santa Sede.  Si deve tenere in considerazione – spiega – un punto cruciale, che è quello del possibile “indebolimento dell’universalità dei diritti umani”. “E poi – aggiunge – adesso parliamo di risposta a tendenze che alcuni Stati e alcuni gruppi di pressione stanno promuovendo, cioè il diritto non solo al rispetto e alla non discriminazione delle persone che hanno comportamenti sessuali diversi, ma addirittura in alcuni Stati è stato introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso che comporta una interpretazione nuova di questa istituzione. Dobbiamo quindi prendere posizione e cercare di far capire come, nell’interesse della società e nell’interesse del bene comune, questi passi non portino a conclusioni positive”.

È un problema che riguarda il cambiamento stesso del vocabolario delle Nazioni Unite, un procedimento lungo, uno sviluppo di correnti di pensiero che ha portato a un vero e proprio cambiamento del quadro sociale. Il cambiamento di vocabolario è cominciato con la rivoluzione sessuale del 1968, ma si è imposto con maggiore insistenza dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, quando i due blocchi della Guerra Fredda hanno lasciato il posto ad una pluralità di attori, e le Nazioni Unite si sono sentite investite della missione di promuovere delle priorità pratiche che secondo i funzionari coinvolti avrebbero portato a un mondo più giusto e libero.

È stata Marguerite A. Peter ad analizzare il nuovo linguaggio di questa missione. Alcuni esempi: globalizzazione dal volto umano, sviluppo durabile, buona governance, etica mondiale, diversità culturale, dialogo tra le civiltà, qualità di vita, genere, eguale opportunità, omofobia, orientamento sessuale, aborto sicuro, diritti delle generazioni future, organizzazioni nongovernative, partenariati, società civile, democrazia partecipativa, reti transnazionali, costruzione del consenso, approccio inclusivo, agenti-attori di trasformazione sociale, buone pratiche, diritti sessuali e riproduttivi, diritto di scegliere, commercio equo, diverse forme di famiglia.

E – dice Tomasi a Radiovaticana – “parte di questa nuova cultura che sta emergendo è la teoria del genere. Questa teoria del genere si basa su una ideologia, cioè: io non sono uomo o donna perché sono nato con identità fisiche molto precise, che il Creatore mi ha dato, ma io posso definire in maniera ideologica quello che oggi sono, che domani posso essere, cambiare la mia identità e quindi agire poi di conseguenza, in base a questa costruzione ideologica di quella che io considero essere la mia identità sessuale. E questo pone un principio per cui se noi partiamo dal presupposto che la realtà non conta, perché quello che conta è come io costruisco la realtà, creiamo le premesse per una grande confusione, non solo: ma anche possibilità di conflitti e di autodistruzione”.

Spiega Tomasi: “Dobbiamo naturalmente tener conto che ci sono comportamenti sessuali diversi. Lì, la società dovrà avere rispetto, salvaguardare la dignità di tutte le persone ma allo stesso tempo fare in modo che le soluzioni legislative per queste situazioni non indeboliscano la famiglia, perché il primo dovere dello Stato è la protezione della famiglia. Quindi, garantire attraverso questa istituzione fondamentale la continuità della società. Di fatto, vediamo che in tutta la storia e nella totalità delle Costituzioni degli Stati moderni, c’è sia una definizione di matrimonio tra uomo e donna sia clausole per la protezione della famiglia”.

Il concetto di famiglia viene però costantemente eroso. Come vengono escluse o tendono a scomparire dal vocabolario delle Nazioni Unite parole che appartengono alla tradizione giudaico-cristiana: verità, morale, coscienza, ragione, cuore, volontà, genitori, sposo, marito, madre, padre, figlio, figlia, castità, complementarietà, servizio, autorità, gerarchie, legge, comandamento, dogma, peccato, natura, matrimonio. E i documenti dell’Onu, se vengono analizzati negli anni, mettono in luce una transizione di linguaggio netta. da governo a governance, da autorità ad autonomia e diritti dell’individuo, da sposo a partner, da felicità a qualità di vita, dal dato al costruito, da famiglia a famiglia in tutte le sue forme, dalla sofferenza dignitosa al diritto di morire, dal voto di maggioranze al consenso, dal dogma alla libertà d’interpretazione.

Gli ultimi discorsi all’Onu di Tomasi sono la naturale prosecuzione di quello tenuto – sempre nella stessa sessione del Consiglio per i diritti umani – sulla libertà religiosa. La “verità” fu subito una priorità nella scelta diplomatica di Benedetto XVI: Nella verità, la pace è tema del suo primo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, nel 2006.

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