Bagnasco resta alla Cei. Ne rafforzerà il potere?

Non cambia niente: Angelo Bagnasco resta alla guida della Conferenza Episcopale Italiana per altri cinque anni. Il Papa – che sceglie il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e differenza di quanto avviene con le conferenze episcopali estere, dove viene eletto – ha fatto la sua scelta. E questo era praticamente sicuro. Non c’è alcuna volontà, da parte del Papa, di dare un segno di discontinuità oggi, in una Chiesa scossa al suo interno dal “mordere e divorare”, e attaccata continuamente al suo esterno. Quello che è cambiato, in questi ultimi cinque anni – ma soprattutto in questi ultimi tempi – è stato il ruolo che Bagnasco – che ringrazia tutti i vescovi “per la collaborazione fin qui sperimentata” – ha voluto dare alla Conferenza Episcopale Italiana.
Un ruolo che è diventato con il tempo sempre più politico. Fino agli ultimi mesi dello scorso anno, quando il porporato ha partecipato – in stretta successione – alla Summer School del Pdl, dove ha tenuto una prolusione, all’incontro delle sigle cattoliche a Todi (da lui aperto) e alla Messa di Natale dei Parlamentari. Un attivismo politico divenuto sempre più evidente e forte, portato in qualche modo a creare una forza cattolica terzista e alternativa ai poli, stando bene attento ad avere buoni rapporti con tutte le forze in campo e a mediare, cercando di riportare la Chiesa al centro del dibattito pubblico.
Missione compiuta? Difficile dirlo, nel momento in cui i giochi sono ancora aperti. In questo momento, Bagnasco si trova a giocare la delicata partita dell’Imu: il presidente Cei si è detto disposto ad una revisione della legge, che tra l’altro è stata discussa fuori confine e portata in Consiglio dei Ministri sigillata. Resterà da vedere se queste norme applicative dell’Imu riguarderanno solo gli immobili ecclesiastici (e allora ci sarebbe il rischio di una discriminazione) oppure se andrà ad applicarsi a tutti gli enti che usufruiscono di esenzione (e dunque anche associazioni culturali, ed enti non profit). Che ci sia una volontà politica di portare a buon fine la partita, anche per via di un’immagine cattolica del governo da mantenere (sono ministri tre partecipanti dell’incontro di Todi) è evidente.
Questa volontà politica si potrà leggere questa sera, quando Bagnasco andrà a tenere una riflessione sulla “Questione antropologica nella dottrina sociale della Chiesa” alla Pontificia Università Santa Croce, e sarà accolto dal consueto parterre di parlamentari: i ministri Riccardi, Profumo e Ornaghi, il segretario del Pdl Angelino Alfano, il leader Udc Casini, e poi Rosy Bindi e Paola Binetti, sicuramente Francesco Rutelli. Tutti sembrano ansiosi di creare un progetto in stile “grande coalizione”, o un partito trasversale del cardinal Bagnasco, ora che ha guadagnato la riconferma della Cei.
Spostando l’attenzione dai valori non negoziabili (che in alcune recenti prolusioni del numero uno della Cei sono stati definiti anche “non rinunciabili”) alla questione sociale, Bagnasco ha completato la transizione del dopo Ruini. Nessuno pensa ad un partito dei cattolici – perlomeno ufficialmente – ma certo si prepara una transizione pre-politica che potrebbe portare a formarne uno. È questo il compito di un presidente di Conferenza Episcopale?
Quando Bagnaso si insediò cinque anni fa, subito il Segretario di Stato, il cardinal Bertone, fece sapere a mezzo lettera che sarebbe stata la Segreteria di Stato a dover tenere i rapporti con il governo italiano. È un tipo di relazioni che fa parte con i normali tipi di relazione con Stato estero della Santa Sede, e infatti non c’è in Segreteria di Stato una sezione speciale di rapporti con l’Italia. Dopo l’era Ruini – che aveva gestito in maniera praticamente monopolista i rapporti con la politica italiana, lasciando al segretario di Stato i rapporti con l’estero – Bertone aveva intenzione di tenere in mano il pugno della situazione. Ma la lettera fu l’inizio di una tensione strisciante.
Una tensione che, a settembre 2009, fu resa evidente dallo scoppiare del caso Boffo. Da lì in poi, Bagnasco è intervenuto sempre più puntualmente sulle questioni della politica italiana, contando anche sul fatto che la lettera che Bertone gli aveva inviato nel 2007 non era per niente piaciuta alle Conferenze Episcopali non italiane, che godono di una certa autonomia.
La lettera di Bertone aveva però un suo fondamento “giuridico”: il motu proprio Apostolos Suos, promulgato da Giovanni Paolo II nel 1998. Questo documento chiarisce molto riguardo il ruolo delle Conferenze Episcopali: si afferma il primato del Papa; i vescovi non possono demandare la loro potestà in favore della Conferenza Episcopale; la Conferenza Episcopale è un organo di consultazione, ma non può deliberare dal punto di vista teologico.
Spiega p. Miroslav Adam, esperto di diritto canonico e delle conferenze episcopali, “nel mondo di oggi sorgono sempre più frequentemente i gravi problemi pastorali e le questioni morali da risolvere ed oneri da sostenere. Sarà quasi impossibile risolvere tutto ciò da parte dei singoli vescovi e molto difficile da parte di sola Santa Sede. In tal modo si apre sempre di più la possibilità di applicare il principio di sussidiarietà ed allargare le nuove competenze alle Conferenze Episcopali”.
Cosa che già fanno, in molti casi, anche perché, secondo il motu proprio, le Conferenze Episcopali possono anche agire in maniera giuridicamente vincolante, se vi è stata l’unanimità dei suoi membri. Che è già un dare una certa legittimità alle Chiese episcopali. Ma che non deve far confondere le idee, spiega monsignor Luigi Bianco, ora nunzio apostolico in Honduras, ma esperto di status giuridico delle Conferenze Episcopali: è stato questo il tema della sua dissertazione di Dottorato sotto la guida del cardinal Velasio de Paolis. “Le Conferenze episcopali – aveva scritto monsignor Bianco nella sua dissertazione – non possono considerarsi quasi come una istanza intermedia tra la Curia Romana e la Curia diocesana, e non devono agire da filtro o intralcio nei rapporti dei singoli vescovi con la Santa Sede”.
Ma se il cardinal Ruini, dopo la promulgazione dell’Apostolos Suos, commentava al Consiglio Permanente che il documento “rendeva la Conferenza Episcopale un mero organismo di servizio”, c’è comunque una prassi, che risale a Paolo VI e che prevede la piena fiducia del Papa nei confronti delle Conferenze Episcopali.
In questa forbice, ci sarebbe lo spazio per un ampliamento dei poteri delle Conferenze Episcopali? Al Concilio si discusse molto sui poteri delle Conferenze, e si optò per una soluzione intermedia: una struttura di governo, ma con capacità di obbligare giuridicamente i vescovi solo nei casi precisamente determinati.
“Sono veramente molte – spiega padre Adam – le funzioni che competono alla Conferenza dei Vescovi. Sono chiamate ad adoperarsi per materie nel campo liturgico, nel campo della formazione sacerdotale, spettano ad esse competenze nel campo ecumenico, catechetico, economico, nell’uso dei mezzi di comunicazione, nel campo della cura delle anime, sono affidate a loro in modo particolare i fedeli che non hanno accesso alla cura ordinaria, svolgono funzioni nel campo dell’amministrazione della giustizia, dei rapporti con le autorità civili, della difesa della vita umana, della pace, dei diritti umani e così via. Nel futuro è possibile aspettarsi che le competenze delle Conferenze Episcopali aumentino”.