Libertà religiosa a rischio nella libera America

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Quando Benedetto XVI è stato negli Stati Uniti, nel 2008, ha a lungo elogiato la “laicità positiva” degli Stati Uniti, un posto dove tutte le religioni trovano il loro spazio, e a cui non è un ruolo nel dibattito pubblico. Eppure, le ultime decisioni dell’amministrazione Obama fanno pensare che gli Stati Uniti si stiano dirigendo piuttosto verso un modello di Laicité alla francese, e di un secolarismo aggressivo nei confronti della religione.  Tanto che i vescovi americani, in una lettera firmata dal presidente della Conferenza Episcopale Usa Timothy Dolan e dal vescovo di Bridgeport William Lori, presidente della Commissione sulla libertà religiosa, hanno parlato chiaramente della “libertà religiosa in pericolo”. Tutto nei democratici Stati Uniti. Dove la libertà religiosa rischia di essere confusa con la libertà di culto, e la libertà di coscienza rischia di essere sacrificata sull’altare della politica, perché le religioni dovrebbero “tenersi neutrali”. Il punto è che le scelte in materia di libertà religiosa non possono essere confinate a semplici scelte domestiche. Hanno un peso internazionale. E questo va riconosciuto.

 

Nel parlare alla diciannovesima sessione ordinaria del Consiglio per i Diritti dell’Uomo, Silvano Tomasi, nunzio presso le Nazioni Unite, ha chiesto a tutti gli Stati di mettere da parte “l’ingannevole neutralità” che di fatto “mira a neutralizzare la religione”, e allo stesso tempo ha ricordato che “le religioni non sono una minaccia, bensì una risorsa”. Ed è ormai riconosciuto da tutti che le religioni sono una risorsa per la pace e per la giustizia sociale.

Ci sono due posizioni dell’amministrazione Obama che hanno scatenato il dibattito sulla libertà religiosa, e riguardano le direttive emesse in gennaio dal ministero della sanità e la posizione che l’amministrazione Obama ha tenuto sul caso che riguarda la scuola evangelico luterana “Hosanna Tabor”.

Riguardo quest’ultimo caso, il dipartimento di Giustizia Americano aveva preso la posizione che la libertà religiosa non protegge il diritto delle istituzioni religiose di assumere i propri dipendenti coerentemente con l’impegno di fede dell’organizzazione stessa. E il Dipartimento Salute (Health and Human Services) dell’amministrazione Obama, guidato dalla cattolica Sebelius, ha stabilito che le istituzioni religiose come ospedali e scuole dovevano dare fondi e  prevedere nei loro piani assicurativi la copertura per contraccettivi, pillole abortive, sterilizzazione senza alcun riguardo con le convinzioni dottrinali. Sono state cattive decisioni?

Sì, sono state così cattive che la Corte Suprema, quando è stata chiamata pronunciarsi sul caso Hosanna-Tabor, ha votato unanimamente contro la decisione del governo, con un 9 giudici a zero che non ammette repliche (e questi voti includono anche  i giudici nominati da Obama Sotomayor e Kagan). Sulla seconda questione, sono stati i vescovi americani a mobilitarsi, affermando che si tratta di “un attacco diretto alla religione e ai diritti stabiliti del Primo Emendamento.

Sono mosse che contano anche in politica estera. E che aiutano a spiegare le scelte di Obama. Come l’omissione complete del tema della libertà religiosa dal rapporto sulla National Security Strategy, il rapporto sulla sicurezza nazionale. Commenta la rivista Foreign Policy: “E’ difficile sfuggire alla conclusione che la Casa Bianca guarda alla libertà religiosa con indifferenza”.

Ovviamente, questo non significa che l’amministrazione Obama sia ostile a tutti gli aspetti della libertà religiosa. La Casa Bianca si oppone – ed è ovvio – all’imprigionamento, tortura ed esecuzione dei credenti in nazioni con regimi considerati oppressivi, e per questo è intervenuta in qualche caso di alto profilo come quello del cittadino afghano Said Musa o del pastore iraniano Youcef Nadarkhami.

Ma il problema è ancora più ampio, e riguarda il modo in cui viene considerate la libertà religiosa, che sempre più viene annacquata a mera libertà di credere e libertà di culto. In realtà, la libertà religiosa include la libertà di credere e la libertà di culto, e in questo modo protegge il diritto dei credenti di praticare la loro fede fino in fondo. Se ci si basa solo sulla libertà di culto, per esempio, allora una scuola cattolica non ha il diritto di assumere gli insegnanti che ritiene coerenti con l’insegnamento che vogliono dare, e un ospedale cattolico non può fare obiezione di coscienza riguardo la pratica dell’aborto, perché riconosciuto ai medici e al personale il solo diritto di praticare la loro religione, e non il diritto di viverla.

E così in molti si chiedono che fine ha fatto il discorso che Obama ha fatto al Cairo nel 2009, in cui aveva chiesto “un nuovo inizio” con il mondo islamico e aveva affermato che “la libertà in America è un tutt’uno con la libertà di professare la propria religione”. Come professarla, se alcune scelte religiose devono, secondo le scelte dell’amministrazione Obama, rimanere a livello privato?

C’è un qualcosa di ironico nella posizione che ha assunto l’amministrazione Obama, e riguarda il fatto che mentre la libertà religiosa viene ridotta, negli Stati Uniti nuove pubblicazioni dimostrano le connessioni tra la libertà religiosa e politica estera in campi come la pace, la sicurezza e la stabilità. Un esempio su tutti: il Religious Freedom Project della Georgetown University, dove si studia come ad esempio la libertà religiosa rafforza le politiche interne di prevenzione delle rivolte, come la libertà religiosa riduca la violenza politica, e varie altre situazioni di questo tipo che raccontano come si potrebbe dire senza timore di sbagliare che il nuovo nome della pace è “libertà religiosa”, e che la stessa libertà religiosa è uno stimolo per lo sviluppo – quello che da Paolo VI nella Populorum Progressio era definito il nuovo nome della pace.

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