Le Acli riconoscono la priorità della donna
In occasione della festa della donna le Acli riflettono sulla situazione femminile nel mondo del lavoro, che rappresenta una dimensione fondamentale della vita, concorrendo fortemente a definire la propria identità. Per le donne è un mezzo di emancipazione e di realizzazione personale. Il binomio fra donne e lavoro diventa identificativo e tuttavia le donne sono ancora penalizzate sia per il livello di occupazione, sia per retribuzione e percorsi di carriera. Tutte le indagini confermano che l’occupazione femminile è nettamente al di sotto di quella maschile, il 53,1% contro il 68,4%. Il dato comunque più rilevante riguarda i lavori precari: il vulnerable employment ha riguardato 1,53 miliardi di persone nel mondo nel 2009 (il 50,1%), e questo numero è aumentato di 100 milioni di unità fra il 2007 e il 2009. Il gender gap è meno evidente nei paesi sviluppati mentre il divario più alto si registra in Africa e in Medio Oriente.
Le Acli sottolineano che anche in Italia, quando si parla di lavoro e si effettua il confronto tra uomini e donne, le differenze di genere sono ancora particolarmente rilevanti. Infatti dalle indagini effettuate nel 2010 risulta occupato il 56,9% delle persone tra i 15 ed i 64 anni; ma analizzando i dati per genere emerge come gli occupati uomini siano il 67,7%, contro appena il 46,1% delle donne: “Il modello di partecipazione femminile al mercato del lavoro è cambiato profondamente nel corso degli ultimi decenni: le donne vi entrano in età più avanzata, proprio nel momento in cui le generazioni precedenti iniziavano a uscirne; hanno aspirazioni e istruzione più elevate che in passato; non hanno intenzione di smettere di lavorare in futuro. Ciò nonostante, i percorsi lavorativi delle donne, e soprattutto quelli delle donne appartenenti alle giovani generazioni, sono pieni di ostacoli e confermano la difficoltà di conciliare l’attività lavorativa con i tempi di vita, rivelando anche gravi carenze nella tutela delle lavoratrici.
In una logica di economia civile e di responsabilità sociale d’impresa, l’introduzione di politiche family friendly è elemento favorevole all’equilibrio sociale delle imprese”. Infatti secondo gli studi aclisti la conciliazione tra tempi di lavoro e tempi della famiglia rappresenta per le imprese “non solo una questione etica ma anche un vantaggio economico, perché permette sia di ottenere effetti positivi sulla qualità del clima organizzativo, sull’attrattività dell’azienda nel mercato del lavoro e sulla produttività degli individui: diminuiscono turnover, ma anche assenteismo, mentre crescono i livelli di motivazione nei lavoratori”.
Quindi per le Acli occorre pensare ad un nuovo welfare per incentivare l’occupazione femminile, come maggior servizi alla prima infanzia: “Molte donne restano intrappolate nel circolo vizioso dell’inattività: avere un lavoro regolare non conviene perché il coniuge perderebbe agevolazioni e trasferimenti e per giunta ci sarebbero nuove spese per l’asilo e i trasporti. Il combinato disposto del Fisco e del welfare produce un adattamento al ribasso delle preferenze lavorative delle donne, con conseguenze negative per lo Stato e per le famiglie. Occorre ricalibrare fisco e welfare in modo da premiare le lavoratrici madri e sostenere i bassi salari”. Infine, sostengono le Acli, la difficile situazione nel mercato del lavoro va di pari passo con il sovraccarico di lavoro familiare delle donne:
“Per le donne avere un lavoro e dei figli si traduce in un tale sovraccarico di lavoro totale (tempo dedicato al lavoro retribuito e al lavoro familiare), che le ha spinte, negli anni, a far fronte alla difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia comprimendo il tempo dedicato al lavoro familiare. Per gli uomini, invece, la partecipazione al lavoro familiare continua a essere marginale, sebbene si registri qualche segnale di maggiore coinvolgimento rispetto al passato”. E’ quindi fondamentale per le Acli creare cultura: promuovere l’occupazione femminile è sinonimo di crescita: “Occorre oggi riconoscere e valorizzare capacità e talenti oggi trascurati, ignorati, discriminati; favorire relazioni di genere più eque, basate su rapporti più equilibrati tra le varie sfere di attività, fra vita personale e lavoro”.