I Demoni di Dostoevskji e la contemporaneità del male

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“Tu l’hai mai letto Dostoevskij?”La domanda, davvero inaspettata, ci colpisce nel bel mezzo di un pomeriggio piuttosto uggioso in cui il lavoro si trascina stancamente. Una collega, molto più giovane, ce lo chiede a bruciapelo, specificando. “Sai, io non lo avevo mai letto, ora ho cominciato, così per curiosità. Tutti mi hanno preso per matta ma devo ammettere che mi sta piacendo da matti, non riesco a smettere di leggerlo…”E d’un tratto ci vengono in mente le lunghissime ore della nostra adolescenza passate sulle pagine fitte, ore soprattutto notturne, di nascosto, a soffrire, meditare, piangere, amare attraverso le vite degli immortali personaggi dello scrittore russo. Quei personaggi che di diritto entravano a far parte del nostro piccolo, grande mondo, quasi fisicamente, come se potessi incontrarli quotidianamente, a scuola, per le strade, nei teatri e nei cinema che frequentavamo. Per ore discutevamo con gli amici più intimi della grandezza di Dostoevskij  e delle grandi questioni che i suoi romanzi ponevano. Domande non intellettuali, domande vitali, che vanno dritte al cuore: che cos’è l’amore, perché crediamo in Dio, perché esiste il Male, perché soffrono gli innocenti e i bambini muoiono, perché gli ideali possono tanto facilmente essere traditi…Tutte domande  che, in modo magari maldestro, provocatorio, sepolto sotto un linguaggio triviale e impoverito, i giovani continuano a fare.

Se solo si avesse il coraggio di affrontare quelle centinaia di pagine, quelle parole così elaborate da diventare spade che trafiggono e archi di luce gettati nell’oscurità del cuore e della vita, se solo si provasse a sfidare i pregiudizi () si scoprirebbe un territorio in cui camminare come dentro una meravigliosa avventura, senza limiti e confini. Ultimamente abbiamo riletto, forse non tra i capolavori dell’immenso scrittore russo. Eppure, il miracolo si è compiuto, come sempre. Scomparse, in pochi minuti, le incrostazioni di letture inutili ed evanescenti, abbiamo cominciato ad aggirarci nel mondo in chiaroscuro del giovane Arkadij Dolgorukij, figlio illegittimo del ricco possidente  Versilov e della cameriera  Sofia Andreevna. Arkadij è ricolmo di odio e di disprezzo distruttivo e rischia davvero di distruggere tutto e tutti intorno a se e dentor di se. Ma lo salva l’amore, soprattutto quello silenzioso e umile della madre. Una vicenda al limite quasi banale diventa paradigma di un mondo in dissoluzione e del terribile rischio che la violenza, l’ideologia e alla fine il nichilismo spalanchino il loro vuoto e inghiottano energie, sentimenti, persino la fede. Forse, però, il capolavoro più potente  è ” I Demoni”. 

L’autore mette in scena il male, la sua ottusità, persino il suo lato del ridicolo, la sua follia, capaci di contagiare e sfregiare ogni cosa, ma, poiché la bellezza salva il mondo, come ha sempre strenuamente sostenuto Dostoevskij, anche in presenza di un’anima interamente posseduta dal demone del male l’ultima parole è quella della salvezza. Soprattutto, però, quello che colpisce nel romanzo è una sorta di intuizione profetica, frutto però di un elaborata analisi della situazione socio-politica del suo Paese e dell’intera Europa. L’intuizione, ossia, dell’avvento di un’ideologia annichilente, che prima pone lo Stato come antagonista, poi lo trasforma in un Moloch cui sacrificare l’individuo. In una lettera  scritta al poeta Apollòn Màjkov l’11 dicembre 1868, quando ancora non aveva consegnato all’editore l’ultima parte dell'”Idiota”, Dostoevskij parla del progetto di un nuovo romanzo intitolato “Ateismo”: un’opera enorme, composta da quattro o cinque parti, di cui una doveva chiamarsi “I Demòni”. In una successiva lettera allo stesso Màjkov, Dostoevskij, accennando al libro a cui stava lavorando, scrive: “Il progetto fu evidentemente ridimensionato ai soli “Demòni”, per la prima volta pubblicati, a puntate, sui fascicoli della rivista “Messaggero Russo”. In una lettera del 9 ottobre 1870 indirizzata sempre a Màjkov, Dostoevskij spiega però  il reale senso del titolo – e in pratica del romanzo stesso – della sua nuova creazione e dell’epigrafe tratta dal Vangelo di Luca da lui posta all’inizio del racconto: “L’evangelista Luca ci racconta che i demòni si erano insediati in un uomo, il suo nome era Legione, ed essi Lo [Cristo] pregarono: permettici di entrare nei maiali, ed Egli lo permise.

I demòni allora entrarono nei maiali e tutto il branco si precipitò da un’altura in mare ed annegò. […] Esattamente la stessa cosa si è verificata anche da noi. I demòni sono usciti dall’uomo russo e sono entrati nel branco dei porci, e cioè nei Necàev, nei Serno-Solov’ëvic e così via. Quelli sono affogati, o affogheranno senza dubbio, e l’uomo ormai guarito, da cui sono usciti i demòni, siede ai piedi di Gesù”.

 

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