15 anni fa gli ultimi testi di Joseph Ratzinger come Prefetto della Dottrina della fede

Sono passati esattamente quindici anni dal 2004, l’ultimo anno solare di Joseph Ratzinger come cardinale prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede e decano del Collegio cardinalizio, prima dell’inaspettata elezione al Soglio Petrino del 19 aprile 2005. Un anno costellato da importanti appuntamenti e interventi, che l’allora porporato trascorse anche nell’attesa che Giovanni Paolo II gli concedesse il pensionamento, permettendogli l’agognato ritiro fatto di studi e preghiera nella sua natia Baviera.
Come presidente della Pontificia Commissione Biblica, il card. Ratzinger il 20 aprile saluta il Papa all’inizio dell’udienza all’Assemblea plenaria, ringraziandolo per l’incontro che “ci permette di condividere con Vostra Santità l’impegno e la preoccupazione della nostra comune ricerca”, che in quegli anni verteva sul rapporto tra Bibbia e morale.
Come prefetto del’ex Sant’Uffizio, il 31 maggio firma la Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, “punto di partenza per un cammino di approfondimento”, “per instaurare un dialogo” nella “sincera ricerca della verità e nel comune impegno a sviluppare relazioni sempre più autentiche”.
Il 4 giugno il futuro Benedetto XVI è in Normandia, inviato da Papa Wojtyla per le celebrazioni del 60° anniversario dello sbarco alleato durante la seconda guerra mondiale. Qui ricorda che “la difesa del diritto può e deve, in alcune circostanze, far ricorso a una forza commisurata” perché “un pacifismo assoluto, che neghi al diritto l’uso di qualunque mezzo coercitivo, si risolverebbe in una capitolazione davanti all’iniquità, ne sanzionerebbe la presa del potere e abbandonerebbe il mondo al diktat della violenza”.
Ancora a nome di Giovanni Paolo II, sempre più debilitato, il 28 settembre nella Basilica Vaticana presiede la Messa in suffragio di Paolo VI e Giovanni Paolo I. “Il Primato nella sua intima essenza – afferma parlando di coloro che pochi mesi dopo sarebbero stati anche suoi predecessori – non è un esercizio di potere, ma è ‘portare il peso degli altri’, è responsabilità dell’amore. L’amore è proprio il contrario dell’indifferenza nei confronti dell’altro, non può ammettere che nell’altro si spenga l’amore di Cristo, che l’amicizia e la conoscenza del Signore si attenuino” conclude.
Accettando la chiamata a Roma del Papa polacco, il card. Ratzinger aveva posto come unica “condizione” il poter continuare a scrivere; oltre ai libri, prefazioni, saggi, riflessioni destinate alla stampa. Anche nel 2004 questa attività complementare al suo ruolo di prefetto è prolifica.
Il 4 febbraio, sul quotidiano “Avvenire”, ricorda il 1989 del “sorprendente crollo dei regimi socialisti in Europa, che lasciarono dietro di sé un triste strascico di terre distrutte e di anime distrutte”. “Dov’è stata, in tutti questi anni, la voce della fede cristiana?” si chiede il futuro Papa. Certo, c’era stato il Concilio Vaticano II “per rinnovare il ruolo del cristianesimo come motore della storia”, ma nel XIX secolo “si era diffusa l’opinione che la religione appartenesse alla sfera soggettiva e privata, e che a questi ambiti dovesse limitare la propria influenza”. Era nelle situazioni confuse come quella seguita alla caduta del muro di Berlino che emergeva il vero compito del cristianesimo: “Tentare sul serio di ritrovare la propria voce per ‘introdurre’ il nuovo millennio al suo messaggio, per proporlo come segnavia, comprensibile e universale del futuro”. Un futuro che per Ratzinger “nasce quando delle persone si incontrano su convinzioni comuni, capaci di dar forma all’esistenza” e “cresce positivo se queste convinzioni scaturiscono dalla Verità e alla Verità conducono”.
Il ‘come’ Benedetto XVI lo abbozza in un’intervista del 19 novembre a Marco Politi per “La Repubblica”: “Bisogna offrire spazi di vita, di comunione, di cammino. Solo attraverso esperienze concrete e l´esempio esistenziale è possibile verificare l´accessibilità e la realtà del messaggio cristiano”. Sembra sentir riecheggiare le parole che nel 2007 dirà alla Conferenza dei vescovi latinoamericani di Aparecida, “la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”, parole fatte proprie da Papa Francesco. Ratzinger sa che, nonostante le difficoltà, ci sono “nuove possibilità per una fede libera e adulta” perché “la fede non è solo il risultato di una tradizione e di una specifica situazione sociale, ma anzitutto l´esito di un libero sì del cuore a Cristo”.
Un pensiero cardine di quello che sarà il suo Magistero petrino, anticipato ancora una volta nel colloquio con il compianto vaticanista del TG1 Giuseppe De Carli. Quell’intervista fu mandata in onda per la prima volta la sera dell’elezione. “Il mondo ci consiglia l’agnosticismo. Siamo portati a pensare – affermava il card. Ratzinger – che siamo troppo piccoli, che la nostra ragione è troppo fragile per poter credere in Dio. Eppure, in un mondo così frammentato e oscuro, milioni di persone continuano a credere. Questo è un miracolo. È il segno che Dio opera in mezzo a noi”. Un Dio che però spesso si nasconde, ma lo fa “per invitarci a cercarlo di più, con maggiore forza. L’uomo, di contro, è troppo occupato in altre cose e diventa quasi sordo e cieco. Dobbiamo liberarci dalle occupazioni inutili e avere un po’ più di attenzione interiore per poter vedere meglio” concludeva.
“Nella nostra società attuale – sottolineava il futuro Pontefice il 13 maggio, nella ‘lectio magistralis’ sull’Europa tenuta al Senato Italiano – grazie a Dio viene multato chi disonora la fede di Israele, la sua immagine di Dio, le sue grandi figure. Viene multato anche chiunque vilipendia il Corano e le convinzioni di fondo dell’Islam”. Ma quando “si tratta di Cristo e di ciò che è sacro per i cristiani, ecco che allora la libertà di opinione appare come il bene supremo, limitare il quale sarebbe un minacciare o addirittura distruggere la tolleranza e la libertà in generale”. Qui sta il limite, per l’allora decano dei cardinali, della libertà di opinione: “Essa non può distruggere l’onore e la dignità dell’altro; essa non è libertà di mentire o di distruggere i diritti umani”. “I cristiani credenti – era il pensiero finale di Joseph Ratzinger – dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità”.