Musica liturgica tra percezione ed uso
Io credo che talvolta alcuni problemi si fanno piu’ grandi e ingestibili perche’ non si interviene per tempo a mettere alcuni paletti. Molte volte ho scritto di come ci siano fondamentali equivoci che si perpetuano sulla musica liturgica e il suo rapporto con la musica d’uso (o musica leggera, pop, popular che dir si voglia). Gli equivoci sono dati da una fondamentale ignoranza dei termini della questione, ignoranza anche tra teologi e liturgisti che spesso (non sempre) hanno una formazione e conoscenza musicale che dire carenti sarebbe gia’ essere molto generosi. Non è colpa solo loro, spesso non viene loro fornita la capacità di discernere e come sappiamo in molto paesi l’educazione musicale non e’ una priorità. Sappiamo anche come negli ultimi decenni la formazione musicale dei candidati al sacerdozio non è stata considerata così importante e io stesso poso testimoniare di aver avuto cordiali colloqui con famosi liturgisti che candidamente mi dicevano sapere poco o nulla di musica. Questa è la realta’, che piaccia o no. Dunque, si dice spesso che si deve concedere spazio alla musica pop nella liturgia perche’ essa è il linguaggio musicale del nostro tempo, linguaggio a cui tutti siamo abituati e che quindi riconosciamo come familiare. Certo, in questa affermazione c’e’ del vero e quello che e’ vero non puo’ e non deve essere negato: la musica pop ha una straordinaria diffusione ed importanza nella vita di una enorme parte della popolazione mondiale. E’ certamente un repertorio familiare alla maggioranza. Su questo ci si deve trovare tutti d’accordo. Ma qui entrano in gioco le specificità della musica liturgica.
Essa deve essere una porta sull’oltre, un ponte su quella rivelazione inaudita che si opera nell’atto liturgico. Quindi, non è qualcosa che la società contribuisce (intesa come generale cultura sociale) ma è qualcosa che la nuova società dei credenti riceve. Insomma, la musica liturgica non va vista a livello macro sociale, come qualcosa che deve essere familiare alla società nella sua totalità, ma piuttosto come qualcosa che serve a livello micro sociale, intesa come la comunità che si forma nell’azione liturgica e che è assorbita dalla novità cristiana come un nuovo popolo. La musica liturgica è specifica, non è generalizzata. Talvolta confondiamo i livelli e cerchiamo di evangelizzare al contrario la cultura mondana e la cultura cristiana. Dovrebbe essere la seconda ad influire sulla prima. Ma come gia’ si era detto in precedenza, la cultura cristiana è oggi vittima di una sorta di pensiero debole per cui la sua forza propulsiva è estremamente limitata. Certo e’ vero che la percezione di tantissimi e’ imbevuta delle atmosfere della musica pop, essa e’ nella memoria di ciascuno. Non si puo’ negare questo fatto e non sarò certo io a farlo. Ma anche qui c’e’ da fare una distinzione fra memoria individuale e memoria collettiva. E’ certamente vero che la musica pop è parte della memoria individuale di moltissimi e come tale anche va a far parte di quel bagaglio collettivo che chiamiamo “memoria collettiva”.
Ma a livello associativo la memoria collettiva connessa con la liturgia e con la musica per la liturgia non attinge alla musica pop, ma continua sempre ad attingere al canto gregoriano, all’organo e alla musica derivante dalla tradizione. Come faccio ad affermare questo? Molto semplice. Basta interrogare il mondo della pubblicità. I pubblicitari si rivolgono alla memoria collettiva della società, proprio perche’ essa è condivisa da così tanti dando così un target piu’ ampio per il piazzamento del loro prodotto. Quando i pubblicitari vogliono evocare atmosfere religiose o di chiesa non ci fanno sentire la chitarra elettrica ma l’organo, non canti sincopati ma il canto gregoriano. Perche’ sanno che l’associazione nella nostra memoria collettiva è tra liturgia e organo, non tra liturgia e chitarra elettrica. Certo, mi si potrebbe ribattere che questo è un problema culturale e che negli anni cambierà. A questa obiezione potrei rispondere: ma perche’ non usiamo quello che abbiamo e che gia’ funziona? L’aggiornamento conciliare non ha mai sottointeso la distruzione. E a proposito del cambiamento culturale, credo di poter fornire un esempio che la dice lunga su come questa memoria collettiva sia veramente profonda.
Mi trovavo in Cina ad insegnare un brano di Franz Liszt, un Pater Noster che il compositore aveva composto usando scale modali, quelle usate nel canto gregoriano e nella polifonia rinascimentale. Il coro che eseguiva non aveva idea di cosa fosse un Pater Noster e nessuno di loro era cristiano. Alla fine, per mia curiosità, ho chiesto a cosa associavano quel tipo di musica e alcuni di loro mi hanno detto alle atmosfere di Chiesa. Ora, se anche gente cresciuta nell’irreligiosità’ puo’ percepire le cose in questo modo….quindi non confondiamo i livelli e cerchiamo di capire non cosa piace o non piace, ma quello che e’ efficace e quello che non lo e’. Sara’ un vantaggio per tutti.
*Associate Professor
USJ Composer in Residence
Music Academic Programs Coordinator
University of Saint Joseph, Macau SAR.