Per la pace, il dialogo e l’identità cristiana: Santa Sede e Inghilterra viaggiano insieme
Ci si deve assicurare “che la fede abbia un suo spazio nella sfera pubblica, per incoraggiare l’armonia sociale. Le persone hanno bisogno di sentirsi rafforzati nelle loro identità religiose, di confidare in ciò che credono. In pratica, questo significa che gli individui non devono ‘diluire’ la loro fede e che le nazioni non devono negare la loro eredità religiosa”. A parlare è la Baronessa Sayeeda Warsi, ministro senza portafogli del governo inglese di James Cameron. Lo fa davanti ai membri della Pontificia Accademia Ecclesiastica, la scuola dei diplomatici della Santa Sede. È lei, pakistana di origine e prima donna musulmana con un ruolo di governo nella storia della Gran Bretagna, a guidare la delegazione del Regno Unito giunta a Roma per celebrare i trent’anni di rapporti diplomatici della sua nazione con la Santa Sede. Nel mezzo, la storia di uno scisma che ha fatto interrompere per secoli tutti i rapporti tra Roma e Londra. E, oggi, un nuovo ponte costruito con gli anglicani, religione di Stato il cui capo è il re di Inghilterra, con molti membri e intere comunità che chiedono di rientrare nella Chiesa cattolica, e per quello è stato istituito un ordinariato apposito.
Due giorni di colloqui, tra la delegazione britannica e quella della Santa Sede, per rinsaldare i rapporti e definire strategie comuni. C’è, nel comunicato finale, il comune impegno per lo sviluppo umano integrale (il cuore della Caritas in veritate) e per un rinnovato impegno sociale. C’è un riferimento preciso agli eventi di Nordafrica e Medioriente, e l’accordo sulla necessità di fare reali riforme in politica, economia e nel sociale. C’è l’auspicio di il riaprirsi del negoziato diplomatico tra israeliani e palestinesi. E si sottolinea il riferimento al ruolo che il Cristianesimo può avere in questi processi di pace e di rinnovamento sociale.
Un riferimento che la Baronessa Warsi ha tenuto ben fermo nel suo discorso all’Accademia Ecclesiastica. Lì ha fatto gli esempi in cui cristiani, musulmani, ebrei, le tre grandi religione, sono in grado di cooperare insieme per la pace. Lì ha sottolineato il ruolo che la “cristianità” della Gran Bretagna ha avuto anche nel formare la sua cultura di donna musulmana aperta al dialogo.
Da molti, la baronessa è considerata il simbolo di quel “multiculturalismo inglese” che – secondo le parole dello stesso premier Cameron – “ha fallito”. Ma il multiculturalismo all’inglese è quello dove le identità religiose erano così annacquate dall’ideologia multiculturale che si creavano comunità di seconda generazione così in cerca della propria identità da essere facilmente recrutabili dal fanatismo religioso. È quello stesso multiculturalismo che ha portato alla sentenza dell’Alta Corte britannica, che ha dichiarato fuorilegge la pratica di dire preghiere prima dei consigli comunali in vigore in alcuni Comuni del Devon. E secondo indiscrezioni rivelate dalla Bbc la Chiesa d’Inghilterra potrebbe presto perdere il Cappellano generale delle Carceri.
La Baronessa Warsi è di parere opposto.“Non si può e non si deve estirpare le radici cristiane dall’evoluzione delle nostre nazioni. Sarebbe come cancellare i campanili dai nostri paesaggi”. Sottolinea che gli esempi di una “secolarizzazione militante” sono sotto gli occhi di tutti. E paragona la moderna intolleranza alla religione con i regimi totalitari, che “hanno negato alle persone il diritto ad una identità religiosa perché erano spaventati dal concetto di identità multiple”. Prosegue la baronessa: “Solo quando sei felice della tua identità, puoi realmente accettare e non solo meramente tollerare la presenza della differenza”. Eppure – ed è lo stesso motivo per cui “i bulli fanno i bulli” – “lo Stato sopprime, marginalizza, scarica la differenza quando sente che la sua identità è in pericolo”. La baronessa assicura che le cose in Inghilterra sono cambiate. “Superiamo questa paura – dice – riconoscendo l’importanza dell’eredità cristiana, la nostra fede più diffusa”.
E forse la parte più interessante del comunicato congiunto delle relazioni bilaterali non è nell’impegno comune per la pace o per l’ecologia sostenibile, quanto il concreto impegno a lavorare presso le Nazioni Unite per rafforzare il focus sulla prevenzione dei conflitti, il disarmo, il controllo delle armi e la non proliferazione. L’impegno comune è in vista delle prossime negoziazioni, a luglio, per un Arms Trade Treaty, un tratto internazionale sul commercio. Un trattato che deve essere “robusto” e “con uno scopo ampio”. D’altronde, il Vaticano è uno dei pochissimi Stati che auspica di inserire le piccole armi nel trattato, per regolare ancora di più il flusso delle armi. E infatti Santa Sede e Inghilterra guardano anche alla Seconda Conferenza di Revisione sul programma Onu riguardo il Commercio Illecito di Piccole Armi. Va da sé che la grande sfida della Chiesa è quella di arrivare, un giorno, al disarmo integrale di tutte le nazioni.