Mons. Delpini ha ricordato il card. Tettamanzi come discepolo autentico di Cristo
“Non sono mancate neppure a lui, neppure a Milano esperienze di fallimento, di critica, di indifferenza. In questo contesto il card Tettamanzi è stato testimone di una benevolenza che non è stata scalfita dalle reazioni negative, di una coerenza che non ha cercato la popolarità più della fedeltà, di una fedeltà al vangelo che ha sostenuto il suo cammino in terra e l’ha introdotto nella festa di Dio. Celebriamo con lui questa speranza e impariamo da lui questa coerenza”.
Così si è espresso nell’omelia l’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini, durante la celebrazione eucaristica nel primo anniversario della scomparsa del card. Dionigi Tettamanzi. La riflessione dell’arcivescovo di Milano, annodata dalla Parola di Dio con la pagina del ‘discorso missionario’ di Matteo al capitolo 10, è un invito a essere discepoli ricchi di entusiasmo, ma libri dall’esito, mettendo ‘nel conto anche il fallimento e persino la persecuzione’:
“Si devono prevedere porte che non si aprono, anche se l’intenzione è quella di portare la pace. Si devono prevedere persone e Paesi, ideologie e sistemi di potere che reagiscono con indifferenza, come infastiditi da una parola di cui non sentono il bisogno. Si devono prevedere anche reazioni ostili, persecuzioni accanite per respingere una parola che mette in discussione abitudini consolidate, che denuncia le ingiustizie e le prevaricazioni: nessun prepotente è facilmente disponibile a riconoscere la sua prepotenza e ad accogliere con gratitudine l’annuncio del Regno che si presenta come via di mitezza e umiltà, come invito alla conversione e alla fraternità”.
Comunque in tali fallimenti si riconosce il discepolo autentico, che è capace di ‘servire il Signore’ soprattutto nelle avversità: “Nel fallimento della missione, il discepolo deve evitare il risentimento. Se una porta non si apre, il discepolo busserà ad altre porte, ma continuerà a pensare a coloro che stanno dentro la casa con la porta chiusa.
Il discepolo ricambia anche il male con il bene, si esercita nell’imitazione di Gesù pregando anche per i suoi nemici. Sradicare il risentimento e trasformarlo in una forma di intercessione e in una costante benevolenza è un frutto dello Spirito, ma è il vero miracolo della missione, è il vero principio di trasformazione del mondo. Forse i discepoli sono più efficaci nella loro missione con la loro benevolenza che con la loro parola”.
Ed ugualmente deve evitare il ‘compromesso’: “Nel fallimento della missione, il discepolo deve evitare l’accondiscendenza al compromesso. Nessuno trova gradevole abitare nell’impopolarità, attraversare il paese e sentirsi guardato con sospetto, con antipatia. Perciò è costante la tentazione di accondiscendere al compromesso: il messaggio evangelico si può diluire in una raccolta di buoni sentimenti che lo rendono innocuo, in una raccolta di parole di saggezza su cui tutti si possono trovare d’accordo.
Meglio tacere le parole antipatiche, meglio la reticenza sulle parole dure di Gesù. Così anche i discepoli, inviati da Gesù per la missione, possono sentirsi ben inseriti nel contesto in cui devono vivere, possono fare buoni affari e sentirsi a proprio agio”.
Il Vangelo chiede al discepolo la testimonianza della Verità: “Nel fallimento della missione il discepolo deve continuare a credere che il Regno è vicino e merita di essere annunciato. La resistenza all’annuncio del Vangelo, l’ostilità verso le parole di Gesù e la sua critica al potere, alla ricchezza, all’ipocrisia, lo scetticismo sulla sua risurrezione non sono argomenti sufficienti per dubitare della verità e della necessità del Vangelo per una speranza che non deluda.
Perciò il discepolo è il primo ad allietarsi per la buona notizia che annuncia, anche se fosse l’unico a crederci”. Le parole evangeliche ben si connotano alla testimonianza missionaria del card. Dionigi Tettamanzi: “Queste sono le indicazioni che si ricavano dal Vangelo: evitare il risentimento, il compromesso, continuare a sperare e ad annunciare il Regno di Dio.
Ciò ci aiuta a ricordare con riconoscenza il cardinale Tettamanzi perché la sua testimonianza, il suo Ministero, il suo Magistero sono ben illuminati dalla Parola che abbiamo ascoltato. Infatti, nel suo Ministero episcopale ha incontrato tanta benevolenza, è stato vicino a tanta gente, ha avuto per molti una parola buona che ancora si ricorda. E’ stato facile volergli bene perché si capiva che ci voleva bene”.
Anche quando in certi momenti del suo Episcopato fu oggetto di attacchi di fronte ai quali mantenne la serenità e la bontà che gli erano proprie, convinto della necessità di portare ovunque e a ciascuno l’annuncio della speranza che non delude. E nel suo ultimo discorso alla città in occasione della festa di sant’Ambrogio nel dicembre 2010 il card. Tettamanzi dichiarava il proprio ‘amore’ incondizionato a Milano:
“Nessun amministratore si consideri solo in questa missione: chi si occupa disinteressatamente del bene degli altri sappia che gode della stima mia personale, della comunità cristiana e di tutti i cittadini che sentono il bisogno di essere guidati verso il futuro. Essere amministratore non è mai impresa solitaria ma azione profondamente sociale, che si colloca entro un progetto ampio, con uno guardo allargato a tutta la Città e con il coinvolgimento di tutte le persone e le realtà che hanno a cuore Milano.
Fare della nostra Città un luogo coeso, solidale, comunicativo, aperto a tutti, dove il terreno è liberato dalle aridità, dai sassi e dai rovi che ne soffocano la fertilità, dove poter realizzare i progetti di vita più veri credo sia non un’utopia, ma un’impresa possibile e affascinante. Con la collaborazione di tutti, però. Nessuno escluso”.