Cacciabombardieri: finalmente qualcosa si muove
La crisi economica aggrava sempre più il bilancio delle famiglie con aumenti delle tasse e minor entrate; ma ci sono anche spese che lo Stato italiano potrebbe tagliare, come quella per l’acquisto dei cacciabombardieri, che si potrebbero non acquistare senza pagare nessuna penale. E finalmente ciò che Pax Christi e tutto il movimento nonviolento sostenevano da anni, sembra sia sul punto di avverarsi. Infatti nei primi giorni del nuovo anno, appena approvata la nuova manovra economica per il risanamento del debito pubblico italiano, il presidente di Pax Christi Italia, mons. Giovanni Giudici, è intervenuto contro la ‘follia dell’enorme costo dei 131 cacciabombardieri da 150 milioni di euro ciascuno’. Una decisa presa di posizione per ‘rompere il silenzio’ e chiedere ‘un ripensamento di queste spese militari in Parlamento’.
Nella sua lettera alla sua comunità pavese, intitolata ‘F-35, è un altra la strada’, prendendo lo spunto dalla narrazione evangelica dei Re Magi, mons. Giudici ha scritto: “Finalmente la notizia è arrivata nei titoli di giornale, nel panorama drammatico di questa crisi economica che esige sacrifici e tagli per il bene del Paese e per il futuro di tutti: anche le spese militari devono essere drasticamente tagliate. In particolare il dito è puntato sull’enorme costo dei 131 cacciabombardieri F35, aerei di attacco che costano quasi 150 milioni di euro ciascuno. Un investimento di oltre 15 miliardi. Pax Christi lo ricorda da anni (in collaborazione con la Rete Italiana per il Disarmo di cui fa parte) e il convegno appena celebrato a Brescia, in preparazione della Marcia per la pace della Chiesa italiana, ha sottolineato le devastanti conseguenze sull’economia e sul futuro delle comunità, del produrre e commerciare macchine di morte di simili proporzioni.
I Magi, ci racconta il Vangelo, ‘per un’altra strada fecero ritorno’. Anche per noi vale l’invito a intraprendere una strada diversa orientando ogni scelta alla via esigente e necessaria della pace. Per questo esigiamo un ripensamento di queste spese militari con un serio dibattito in Parlamento. I popoli che camminano nella tenebra di questa follia chiedono di cancellare questo progetto e ciò è ancora più necessario in un tempo di crisi che è già molto pesante soprattutto per le famiglie e per i più poveri e che non sembra invece toccare i grandi investimenti per le armi”.
A questo punto si è assistita ad una timida apertura del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, che nel 2002 firmò quel programma: “Il dimensionamento complessivo del programma, come tutto il settore dell’investimento è in corso di riesame alla luce delle esigenze operative e della compatibilità finanziaria… Tuttavia non vi è dubbio che stiamo parlando di un programma di elevato valore operativo, tecnologico e industriale, che vede già oggi a Cameri, nel novarese, un complesso industriale per la costruzione, l’assemblaggio, la produzione e la manutenzione del velivolo. È un complesso che dà e darà occupazione a 1.500 persone e, considerate tutte le industrie che lavorano oggi nel programma JSF, in prospettiva vi è una previsione di 10000 posti di lavoro. Sono oltre quaranta imprese che contribuiscono alla crescita economica, tecnologica, industriale e occupazionale del Paese”.
Però l’apertura è stata contestata dalle Acli, come ha affermato Alfredo Cucciniello, responsabile del Dipartimento Pace e stili di vita delle Acli: “Le Acli ribadiscono la richiesta al Governo di non perfezionare il contratto di acquisto dei cacciabombardieri F35, e invitano a destinare le ingenti risorse che verrebbero risparmiate ad interventi sociali e di sostegno al mondo del lavoro, duramente colpito dalla crisi economica. Tuttavia prima che valutare la compatibilità finanziaria del programma di acquisto degli F35, andrebbe confermata la scelta di ripudio della guerra da parte del nostro Paese, come afferma chiaramente la Costituzione”.
Inoltre dal mondo del servizio civile, in particolare dal presidente di Arci servizio civile e della Consulta nazionale, arriva un forte ragionamento: “Con soddisfazione vediamo che le proposte di tante organizzazioni, fra cui ASC dal 2009, di tagliare alcune spese militari e fra queste quelle per l’acquisto di 131 F35 sono state fatte proprie da giornali, reti televisive, parlamentari, esponenti militari. Già allora dicevamo che un solo F35 in meno significa almeno 25.000 giovani in servizio per un anno, tanto più adesso che dopo gli ultimi tagli del Governo Berlusconi è concreto che nel 2013 non ci saranno giovani in servizio civile. Giustamente a nostro avviso l’argomento F35 sta dentro la ridiscussione del modello di Difesa. Questa ridiscussione interessa anche noi che operiamo nell’altra faccia della Difesa, quella non armata e nonviolenta a cui siamo chiamati, oltre che dalle nostre idee, anche dall’art. della legge 64 del 2001 che ha istituito il Servizio Civile Nazionale su base volontaria aperto alle donne e agli uomini…”.
Infatti il ripensamento governativo è dovuto al fatto che il programma, intoccabile fino a fine anno, è stato messo in discussione anche negli USA da un articolo apparso sul giornale New York Times. Tutto questo ripensamento è nato da un dossier pubblicato da Francesco Vignarca sul mensile ‘Altreconomia’ in cui si sostiene, analizzando la documentazione ufficiale dell’operazione si trova sul sito www.jsf.mil, che “l’uscita del nostro Paese dal programma non comporterebbe oneri ulteriori rispetto a quelli già stanziati e pagati per la fase di sviluppo e quella di pre-industrializzazione… Visto che la ‘foglia di fico’ delle penali si è rivelata solo fumo negli occhi, sarebbe il caso di mettere realmente in discussione un programma che ci costerà circa oltre un miliardo di euro all’anno solo per l’acquisto degli aerei, poi da mantenere.
Nemmeno la giustificazione del ritorno industriale pare plausibile (si favoleggia del 75% dell’investito) e soprattutto sono da ridimensionare fortemente le stime occupazionali legate alla partecipazione dell’industria italiana al progetto. Le parti sociali, in particolare sindacali, hanno stabilito in 200 (più 800 nell’indotto) i posti di lavoro creati, mentre il ministero della Difesa prevede 600 occupati alla struttura FACO di Cameri. Non certo i 10.000 impieghi raccontati per anni da politici e manager compiacenti con il programma. Studi recenti dimostrano che spostare un miliardo di dollari dalla Difesa al comparto delle energie rinnovabili aumenterebbe del 50% il tasso di occupazione: addirittura del 70% se reinvestiti in ambito sanitario”.