E se ci vietassero di mangiare per legge? Un cortometraggio nato dalla vicenda di Eluana

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Cosa succederebbe se a un certo punto tutti decidessero che la tua vita è solo quella di un vegetale, e che è meglio che smettano di darti da mangiare, così almeno non vivi più quella che tutti definiscono una non vita? Benjamin Lorenzo, un giovane regista spagnolo di 30 anni, se lo è chiesto quando ha pensato alla storia di Eluana Englaro.

Era il 1992 quando, a vent’anni, dopo un incidente d’auto, Eluana Englaro era caduta in uno stato vegetativo permanente. I familiari trasportano Eluana da un ospedale all’altro nella speranza di un suo risveglio. Dopo 12 mesi la diagnosi: la regione superiore del cervello è andata incontro a una degenerazione definitiva. I medici non lasciano speranze di ripresa. I genitori vogliono sentire tutti i pareri. Nel 1994 Eluana entra nella casa di cura di Lecco ‘Beato Luigi Talamoni’, gestita dalla suore misericordine. E’ alimentata con un sondino nasogastrico e idratata. Dopo un paio di anni il padre di Eluana, Beppino, comincia la sua battaglia per bloccare l’alimentazione artificiale della figlia, “liberandola” come ripeterà spesso, da quella non vita, che Eluana “non avrebbe accettato”. È una lunga battaglia legale, che va dai primi rifiuti della Corte d’Appello fino al consenso a sospendere alimentazione e idratazione. Un consenso che viene confermato poi dalla Corte Costituzionale.Il resto è quasi cronaca: da una parte, una decreto legge che il presidente Napolitano si rifiuta di firmare, il trasferimento di Eluana ad Udine, dove c’è una struttura sanitaria (la clinica La Quiete) disposta a dare seguito alla sentenza della corte d’appello, la corsa contro il tempo del Parlamento per approvare la legge, e la morte di Eluana, l’8 febbraio 2009, proprio mentre al Senato si discuteva la legge che l’avrebbe potuta salvare.

Una storia che anche in Spagna ha dato vita a un dibattito molto acceso. Perché quello che succedeva in Italia era anche uno specchio di quello che stava succedendo in Spagna sotto il governo Zapatero. Perché, mentre in Italia il dibattito sulla sorte di Eluana diventava incandescente, in Spagna l’allora premier socialista José Luis Zapatero si avviava a varare una legge sul suicidio assistito. Benjamin Lorenzo si mette a lavorare al soggetto di un cortometraggio. Sostiene con forza che “c’è sempre un’alternativa alla morte: la vita”. E ne esce fuori un cortometraggio di 15 minuti, molto intenso: “Tengo hambre”. Il protagonista non è in stato vegetativo, non è costretto su un letto di ospedale. È semplicemente un giovane con la passione dei videogiochi. Una passione che diventa dipendenza. Gioca 17 ore di fila, senza fermarsi. E, quando smette, ha fame. Ma il frigo è vuoto. Solo che nessuno sembra volergli dare da mangiare. Il perché lo scopre lui stesso: c’è una legge che impedisce a chiunque di dargli da mangiare, di manifesti con la sua foto e il divieto è tappezzata tutta la città. E persino i suoi genitori gli dicono che “la sua non è vita”, che “non può cambiare”, e quando lo vedono alla loro porta, chiamano la polizia. Sembra una soluzione senza uscita. Ci sarà qualcuno che, in barba alla legge, tenendo conto solo dell’umanità, accoglierà questo giovane, e gli permetterà di vivere? La risposta c’è. E ha a che fare con una madre, un bambino e una minestra che rischia di freddarsi.

A due anni dalla morte di Eluana Englaro, vedere il cortometraggio è un pugno nello stomaco. Anche perché, in Italia, del caso di Eluana si è ripreso a parlare, e proprio in virtù di un film, “La Bella addormentata”, del regista Marco Bellocchio, ispirato alla storia di Eluana Englaro, che sarà girato ad Udine. “Il Consiglio regionale del Friuli – ha detto Bellocchio – ha chiesto alla sua Regione di non dare contributi economici a ‘Bella addormentata’? È stato un “no” preventivo, ideologico. Ostacolare un film prima ancora che sia fatto mi sembra davvero poco democratico. Ma io e il produttore Riccardo Tozzi chiederemo ugualmente un finanziamento e ho fiducia che lo otterremo: il buon senso e la legge sono dalla nostra parte”. Il caso di Eluana Englaro diventa ancora più emblematico se si pensa alle parole con cui Dino Boffo, allora direttore di Avvenire, delineò lo scenario che si era creato attorno a Beppino Englaro, il padre di Eluana, a sostegno della sua battaglia giuridica.

In quei giorni, Avvenire aveva dato voce all’altra Italia, quella che non andava sui giornali, ma era a favore della vita. E, raccontando la sua battaglia, Boffo sottolineava che era dunque necessario raccontare l’entourage di Beppino Englaro, “scoprire i personaggi, spiegare che non erano semplici professionisti di alto livello arruolati dal padre. No, erano semmai loro gli arruolatori del padre, che si erano prima sincerati della capacità di resistenza di quell’uomo addolorato e determinato (e che rispettiamo, perché non sappiamo che cosa può avvenire quando ci si trova nella sua situazione). Una volta avuta la certezza della ‘tenuta’ di Beppino Englaro, quei personaggi si sono messi a suo servizio conducendo in realtà la loro battaglia”. Una battaglia, prosegue Boffo, “nella quale hanno trovato a Udine dei meravigliosi alleati. Una cupola di indole massonica, che ha messo in campo una solidarietà formidabile, cementata in modo trasversale, capace di superare qualsiasi appartenenza politica, di categoria, di professione”. Visto in questa luce, forse la storia dei mancati finanziamenti al film di Bellocchio può essere letta in maniera diversa.

E se i nemici del film fossero da vedere dalla’altra parte della barricata? D’altronde, lo stesso Bellocchio ha dichiarato che “hanno pensato che fosse un film pro–eutanasia e anti–cattolico. Ma non è così: in “Bella addormentata” non lancio alcun messaggio. Io non entro nel merito di quella tragedia, non prendo una posizione: racconto solo una storia, anzi, delle storie. E qui scatta il secondo equivoco: Bella addormentata non è neanche un film ‘su’ Eluana Englaro, perché non racconta la sua vicenda, non c’è il personaggio di Eluana, non c’è quello di suo padre”. Intanto, in Spagna, un giovane cineasta si ispira al caso e ne fa un corto che è un inno alla vita. “Tengo hambre” è ora in finale al WYA Manhattan International Film Festival.

Un film da diffondere. Si trova qui: http://www.dailymotion.com/video/x86mkt_tengo-hambre_shortfilms

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