In ricordo di Tarkovskij, regista della Trinità

“Indubbiamente lo riconosco, oggi l’idea di sacrificio, di amore evangelico per il prossimo non è popolare, anzi nessuno oggi ci chiede di sacrificare noi stessi. Ciò è considerato idealistico, oppure poco pratico. Ma i risultati della nostra esperienza sono sotto i nostri occhi: la perdita dell’individualità sostituita da un accentuato egocentrismo, la trasformazione dei legami tra gli uomini in rapporti privi di alcun significato non solo tra le persone, ma anche tra gruppi e, ciò che è più spaventoso di ogni altra cosa, la perdita delle ultime possibilità di salvarsi tornando ad una vita spirituale degna dell’uomo… L’uomo ha costruito la propria società sul modello della morta materia applicando a sé le leggi della natura inanimata. Perciò non crede nello Spirito e rifiuta Dio”. Così scriveva il regista russo Andrej Arsenevič Tarkovskij nel libro ‘Scolpire il tempo’, che supportava il suo ultimo film ‘Offret’ (Sacrificio).
A 25 anni dalla sua scomparsa, è interessante riscoprire questo regista russo, che, fin dal suo primo lungometraggio ‘L’infanzia di Ivan’, mostra una visione nuova della bellezza, che lo avvicina a Solov’ev, ed al contempo dell’uomo, attraverso l’arte comunicativa del mezzo cinematografico. Con questo film, molto lirico e personale, iniziano le prime incomprensioni con il regime che, quando nel 1966 gira ‘Andrej Rublëv’, diventano un’aperta ostilità al regime comunista. Il film rilegge la storia della Russia del Quattrocento attraverso le gesta del pittore di icone Andrej Rublëv, risultando uno dei migliori film degli anni ‘60 in tutta la cinematografia mondiale; la sua forza e la sua intensità lo rendono un film leggendario prima ancora che se ne sia potuto vedere un solo fotogramma. Dopo lunghe pressioni, che vedranno intervenire in prima persona il ministro francese per la cultura, il film nel 1969 arriverà al festival di Cannes: il film vince il premio della critica internazionale ed è proiettato in tutta Europa, accolto con entusiasmo unanime da critica e pubblico. In patria però ‘Andrej Rublëv’ è proiettato solo nel 1971, riscuotendo un buon successo di pubblico nonostante la cappa di silenzio piombata sul film.
Nel luglio del 1979 Tarkovskij ottiene il permesso di espatrio per recarsi in Italia per prendere contatti con la RAI per una produzione. In Italia Tarkovskij inizia a girare assieme a Tonino Guerra ‘Tempo di viaggio’, un documentario per la RAI e, sempre con Guerra, inizia il progetto di ‘Nostalghia’. Due mesi dopo fa ritorno in Unione Sovietica. Nell’aprile 1980 riparte per l’Italia per ricevere il David di Donatello per ‘Lo specchio’. Nel 1982, durante un nuovo soggiorno in Italia, prende la decisione di non ritornare più in patria. L’anno successivo è distribuito nelle sale cinematografiche ‘Nostalghia’, girato in Italia nella campagna senese, il suo primo film fuori dalla Russia, che vince a Cannes il gran premio della giuria ex aequo con ‘L’Argent’ di Robert Bresson. Nel 1985, grazie all’interessamento di Ingmar Bergman, Tarkovskij si reca in Svezia per girare ‘Sacrificio’ (Offret), suo ultimo film, che nel 1986 è presentato a Cannes suscitando entusiasmo unanime; la Palma d’oro però va a Mission di Roland Joffé, scatenando fortissime proteste perfino da parte del presidente francese François Mitterrand, che parlerà addirittura di ‘scandalo’.
In Italia è stato ospite per due volte al Meeting dell’Amicizia tra i Popoli, ospitato nei padiglioni della vecchia fiera di Rimini; ed io ebbi la fortuna di ascoltarlo. Il primo incontro si svolse il 17 agosto 1983 alla presenza di circa 14000 persone ed il regista russo presentò il libro su Andrej Rublév, ma prese parte anche ad un altro incontro dal titolo ‘E se l’uomo perdesse la domanda’: “Noi abbiamo perso l’interesse per noi stessi, abbiamo perso questa domanda fondamentale: perché viviamo? Perché siamo venuti al mondo? Senza rispondere a questa domanda, noi non viviamo come persone, non siamo degni di chiamarci uomini, anche se crediamo che la nostra attività sia piena di significato. Penso che noi abbiamo il dovere di rispondere a questa domanda, e tutta la nostra vita e il nostro futuro debba essere dedicato a incarnare questa risposta…
Per me, la ‘Trinità’ non simboleggia solamente la bellezza, ma la speranza, perché, ad esempio, se vogliamo parlare della ‘Trinità’ in relazione al film di Rublev, si può notare uno stridente contrasto fra la vita che Rublev visse e la ‘Trinità’, che è un’immagine che esprime quiete, serenità, equilibrio e armonia. In quei tempi la vita era tremenda: ogni anno, si rovesciavano sulla Russia le orde mongole per far bottino, il sangue scorreva a fiumi, c’erano lotte intestine. E proprio in questo periodo Rublev, dipinse la ‘Trinità’ che ha un significato esattamente opposto: che cosa vuol dire questo? Rublev è riuscito a mettere in questa sua opera tutte le speranze e le ansie che viveva il suo popolo in quel momento. La ‘Trinità’ esprime tutto ciò che allora mancava alla vita del popolo. E quindi penso che in questo senso, la ‘Trinità’, nel senso artistico, ideologico, o meglio ideale, esprima appunto la speranza.”.
Al Meeting il regista tornò nel 1985 a parlare della libertà, a pochi mesi dall’uscita del film, ‘Nostalghia’, vero motore per una crescita interiore: “Un uomo veramente libero si preoccupa molto poco della sua libertà o dei suoi obblighi verso certe cose, così come un uomo veramente felice non pensa mai alla felicità. Cosa è dunque la libertà? Per me la risposta è molto semplice: la libertà è il senso di profonda soddisfazione che tu provi quando sacrifichi qualcosa per un altro essere… Per questo dico che il problema della libertà per me non esiste. Un grande uomo dell’antichità ha detto: ‘Se vuoi essere libero, cerca di diventarlo’. E’ solo questione di fede”.