Il cardinal Sodano celebra San Giuseppe Maria Tomasi
Quella di Giuseppe Maria Tomasi – prozio di Giuseppe Tomasi da Lampedusa, il celebre autore del Gattopardo – è una storia che ha ancora molto da dire. A quanti credono che un privilegio debba rimanere tale e lottano per mantenerlo. A quanti credono che un titolo possa supplire alla mancanza di studio. A quanti pensano che dai privilegi può nascere solo un qualcosa di privilegiato.
Perché Giuseppe Tomasi discendeva dalla nobiltà siciliana del Seicento, era figlio primogenito di don Giulio, duca di Palma e principe di Lampedusa, ed aveva davanti a sé un futuro spianato da nobile e signore. Gli fu insegnato anche lo spagnolo, perché era destinato dalla famiglia al ruolo di paggio alla corte del re di Spagna. Ma Tomasi sentiva forte la vocazione. Chiese il consenso dei genitori, lo ottenne e nel 1664 entra nei padri Teatini.
“Gesù Cristo ci aspetta, chi ci andrà?” Fu questa la voce che sentì Gaetano Thiene. Che era avvocato, aveva studiato a Padova, e lavorava a Roma alla Corte Pontificia. Veniva dal Veneto, che allora era una potente regione industriale, commerciale e intellettuale (Venezia era capitale europea dell’editoria). Gaetano si liberò di tutto, si tolse tutto, non fuggì dal mondo. Decise di accudire ammalati, di fondare ospedali. Poi fondò i Chierici Regolari, i padri Teatini, con il progetto di essere nella Chiesa, chiesa, ovvero una comunità per vivere in semplicità, purezza e distacco da se stessi.
È la stessa scelta di Tomasi, che il 25 marzo 1666 rinuncia ai suoi diritti patrimoniali e feudali a favore del fratello don Ferdinando. E poi, studia: va a Messina, Ferrara, Modena e Roma, studia liturgia, lingue orientali. Diventa sacerdote nel 1673, ma rifiuta sempre le cariche nell’Ordine. Piuttosto, fa opere di pietà e continua a studiare. Apprende la lingua ebraica dal dotto rabbino Mosè da Cave, il quale per suo merito, si convertì al cattolicesimo, venendo battezzato con il nome di Giuseppe.
Viene ammesso al circolo degli eruditi ed alla biblioteca della regina Cristina Alessandra di Svezia, e si avvale dei codici contenuti, provenienti dalla Biblioteca Floriacense, nel comporre la sua opera fondamentale “Codices Sacramentorum nongentis annis vetustiores…” , pubblicata a Roma nel 1680 e dedicata alla stessa regina Cristina.
Ma lui cerca di sottrarsi alle lodi, e quando pubblica un libro, lo fa con il nome della madre, Giuseppe Caro. Per i suoi studi, viene definito “principe della liturgia”, e da molti è considerato un antesignano del rinnovamento del Concilio Vaticano II. Eppure, non preme per cariche, fama e gloria. Clemente XI, che ammirava le sue virtù e la sua erudizione, lo crea cardinale in 1712. Muore, con grande fama di santità, in Roma, il 1 Gennaio 1713. Beatificato da Pio VII nel 1803, fu canonizzato da Giovanni Paolo II nel 1986.
È una storia esemplare. Ogni anno, i padri Teatini, il giorno della sua festa, invitano un cardinale a celebrare messa, accompagnato dal coro della Cappella Liberiana. E ieri è stato Angelo Sodano, decano del Collegio Cardinalizio, a celebrare la ricorrenza. A oltre 80 anni, terminato da tempo il suo incarico di numero uno della Segreteria di Stato vaticana, Sodano è ancora attivissimo. Il suo ufficio accoglie amici e sodali, ed è sempre attento a ciò che succede nel mondo vaticano. Improvvisamente, lo scorso anno balzò di nuovo agli onori delle cronache, quando decise – con un evento quasi senza precedenti – di far anticipare la messa di Pasqua da un augurio al Papa. Non era stato annunciato, e fu una sorpresa per tutti. Nel pieno delle polemiche sullo scandalo pedofilia, Sodano volle far sentire la sua voce, e affermò che “il popolo di Dio non si lascia impressionare dal chiacchiericcio”.