Pax Christi: sostenere il Papa nell’educazione alla pace
“In questa oscurità il cuore dell’uomo non cessa tuttavia di attendere l’aurora di cui parla il Salmista. Tale attesa è particolarmente viva e visibile nei giovani, ed è per questo che il mio pensiero si rivolge a loro considerando il contributo che possono e debbono offrire alla società. Vorrei dunque presentare il Messaggio per la XLV Giornata Mondiale della Pace in una prospettiva educativa: ‘Educare i giovani alla giustizia e alla pace’, nella convinzione che essi, con il loro entusiasmo e la loro spinta ideale, possono offrire una nuova speranza al mondo. Il mio Messaggio si rivolge anche ai genitori, alle famiglie, a tutte le componenti educative, formative, come pure ai responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione. Essere attenti al mondo giovanile, saperlo ascoltare e valorizzare, non è solamente un’opportunità, ma un dovere primario di tutta la società, per la costruzione di un futuro di giustizia e di pace”.
Su questo messaggio di papa Benedetto XVI hanno meditato anche gli aderenti di Pax Christi, riuniti a Brescia, città di papa Paolo VI, per il tradizionale convegno, conclusosi con la marcia della pace, sul tema: ‘Disarmo vuol dire futuro. Per un’economia di giustizia e di pace’, con gli interventi del presidente nazionale, mons. Giovanni Giudici, del responsabile della Rete Italiana per il Disarmo, Giorgio Beretta, e dei rappresentanti di alcuni Istituti di Credito: Damiano Carrara (Ubi Banca), Valter Serrentino (Intesa S. Paolo), Sabina Siniscalchi (Banca Etica).
Monsignor Giudici, nell’introdurre i lavori, ha affermato: “Il nostro obiettivo è testimoniare con opere e parole il rapporto tra il Cristo e la pace e far crescere nel popolo di Dio il gusto della pace… Dobbiamo essere persone che sanno contemplare la possibilità della pace”. Invece Beretta ha dato le cifre dell’esportazione di armamenti che dall’Europa (e dall’Italia) giungono nelle varie zone calde del mondo. Dal 1990, anche grazie alla lotta di pax Christi e di altri movimenti, l’Italia si è dotata di una legge sul commercio delle armi che non è una legge pacifista, ma mette alcuni paletti: è vietato vendere armi a paesi sotto embargo, dove ci sono gravi violazioni dei diritti umani, a paesi che sono in conflitto… Lungo tutti gli anni 90 (fino al 2002) l’export italiano di armi è stato costante aggirandosi intorno ai 1, 5 miliardi di euro: negli ultimi anni invece, a discapito della crisi, l’industria militare ha avuto un’impennata nel fatturato. Nel 2010 le consegne di armi sono arrivate ai 3 miliardi di euro; oltre il 47% delle esportazioni finisce a paesi fuori dalla Nato e dall’Unione Europea.
Al termine della marcia della pace, il segretario nazionale di Pax Christi, Sergio Paronetto, ha letto il comunicato finale: “Educare i giovani alla giustizia e alla pace vuol dire educarci tutti al disarmo delle menti, dei cuori e dei territori. Allontanare la paura. Plasmare una sicurezza comune. Costruire un futuro senza atomiche e un’Italia smilitarizzata nell’economia e nella politica, nella cultura e nel linguaggio, nelle relazioni umane, nelle nostre città. Educarci alla giustizia e alla pace vuol dire disarmare la finanza e costruire un’economia di giustizia. Non spendere 3 milioni di euro l’ora per armamenti. Rifiutare l’idea di uscire dalla crisi economica con il riarmo. Tassare le transazioni finanziarie (aderendo anche alla campagna ‘zerozerocinque’). Lottare contro la corruzione e l’evasione fiscale. Promuovere un lavoro dignitoso per tutti”. Proseguendo nel sentiero dell’educazione alla pace, tracciato da papa Benedetto XVI, Pax Christi ha sottolineato anche il fattore economico della pace, perseguendo uno stile improntato alla sobrietà:
“Educarci alla giustizia e alla pace vuol dire cittadinanza attiva. Estendere la rete dei nuovi stili di vita sobri e solidali. Sviluppare nella comunità cristiana la conoscenza dei criteri etici nell’uso del denaro attraverso le banche… Educarci alla giustizia e alla pace vuol dire pregare il Signore della pace che ci accompagni nel cammino per costruire ponti di umanità e contemplare la beatitudine della pace nel bambino disarmato”. D’altra parte il messaggio di papa Benedetto XVI è un testo molto intenso, che sollecita una particolare attenzione da parte di chi educa i giovani, come hanno ribadito Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace e Aluisi Tosolini, responsabile del Programma Nazionale ‘La mia scuola per la pace’:
“Alla fine di un anno (il 2011) che ha visto l’irrompere sulla scena internazionale di centinaia di migliaia di giovani decisi a ottenere il rispetto dei loro fondamentali diritti, il Papa coglie sino in fondo il valore di questi sommovimenti e sollecita ‘la dovuta attenzione in tutte le componenti della società’… Papa Benedetto XVI ribadisce l’atteggiamento della Chiesa che ‘guarda ai giovani con speranza, ha fiducia in loro e li incoraggia a ricercare la verità, a difendere il bene comune, ad avere prospettive aperte sul mondo e occhi capaci di vedere cose nuove’. Ma poi si rivolge a tutti: genitori, famiglie, educatori, responsabili nei vari ambiti della vita religiosa, sociale, politica, economica, culturale e della comunicazione. E lancia un secondo chiaro appello: ‘Uniamo le nostre forze, spirituali, morali e materiali per educare i giovani alla giustizia e alla pace’… L’appello del Papa non deve cadere nel vuoto né restare nelle mani di qualche addetto ai lavori più sensibile. La celebrazione il 1 gennaio 2012 della Giornata mondiale della pace deve essere l’occasione per riflettere ma poi deve venire il tempo della progettazione e dell’attuazione.
Un tempo che riguarda tutti, vale la pena di ripeterlo, secondo le proprie competenze e responsabilità. Non partiamo da zero. Nel nostro paese, nelle nostre città, scuole e università ci sono tante belle esperienze di cui far tesoro, esperienze e buone pratiche generosamente e tenacemente alimentate da tanti insegnanti, docenti, dirigenti scolastici e operatori sociali. Nel corso di questo nuovo anno dobbiamo valorizzarle, apprezzarle e svilupparle superando le vecchie e anacronistiche separatezze che portano ciascuno a coltivare solo ed esclusivamente il proprio campo”.