La musica che non c’è. Baden Powell e Papa Wemba

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La fusione di allegria e tristezza che nasce dalla musica di Baden Powell e i ritmi dal sapore africano di Papa Wemba caratterizzano un nuovo appuntamento curato da Gianni Giletti, membro della Fraternità del Sermig di Torino che ospita anche il Laboratorio del Suono. Una rubrica che parla di musica, ma non della solita “sbobba” che troppo spesso subiamo dai mass-media.

Parliamo di musica vera, che trasmette emozioni, che tocca il cuore e che non è tanto conosciuta. Meglio, tentiamo di trovare un disco – di ieri o di oggi – che ancora ci possa far sognare, spaziando un po’ su tutti i generi. Le caratteristiche che deve avere il “lettore tipo” sono la curiosità e la ricerca della qualità della musica…

BADEN POWELL, Tristeza on guitar – Polygram 1966. Un disco struggente, che alterna malinconia e buon umore con quella grazia caratteristica del Sudamerica, dove è vissuto questo straordinario artista. Dire infatti che Baden Powell (vero nome Robert Baden Powell De Aquino) è un chitarrista, o meglio il più rappresentativo chitarrista brasiliano è una verità parziale. In realtà egli è un pittore che danza sul manico della sua chitarra e dipinge acquarelli di un colore così vivido che sembra di vederli.

Allegria, tristezza e malinconia di un popolo – il popolo brasiliano – escono così dalle tracce di questo disco, che ha quasi quarant’anni e rappresenta uno dei capolavori del Nostro, ed entrano direttamente nel cuore di chi ascolta. Passano davanti agli occhi capolavori assoluti, come “Tristeza”, “Manha de Carnaval”, “Canto de Ossanha”, ricamati dalla sua chitarra e accompagnati a volte (ma non sempre) da flauto, basso e qualche percussione. C’è anche una “cover”, cioè il rifacimento di un brano jazz famoso, “Round about midnight” di Thelonious Monk che brilla per un arrangiamento molto intimo e intenso.

Una notazione particolare merita il suono che BP ottiene dalle sue chitarre; a parte la tecnica straordinaria, riesce a far “parlare” il suo strumento in un modo talmente personale e caldo che ti vien voglia di interrompere quello che stai facendo e starlo ad ascoltare mentre ti racconta le sue storie. Un disco singolare, ma di grande spessore artistico. Ecco una pillola…

PAPA WEMBA, Emotion – Real world 1995. “Cerco un po’ d’Africa in giardino, tra l’oleandro e il baobab” diceva “Azzurro”, la più famosa canzone di Paolo Conte. Con questo disco non c’è neanche bisogno di scendere in giardino, basta accendere lo stereo! Papa Wemba è uno degli artisti africani più conosciuti ed apprezzati. Congolese, nativo di Kinshasa, è da sempre interessato alle contaminazioni musicali, cosa che per lui significa tentare di fondere la grande tradizione musicale africana con le musiche di altri paesi e culture, in particolare quella occidentale.

Diventa famoso negli anni ‘90, quando partecipa ai Womad – festival di musica etnica promossi da Peter Gabriel – e fa uscire per l’etichetta Real World tre dischi che lo fanno conoscere in ogni parte del mondo. Tra questi, “Emotion”: è un’esplosione di suoni e colori, ha un suono che viene dalla terra e che mette una sana voglia di ballare. Sarà per i cori africani tanto suggestivi o per la chitarrina elettrica che ne impreziosisce le melodie o per quel mix di percussioni e basso così deliziosamente poliritmici… comunque sia, l’ascoltatore, anche distratto, viene catapultato nel centro di una festa che lo trascina nell’Africa nera pur sentendosi a casa.

Potenza della world music! Un’altra menzione poi si deve fare per la voce di Papa Wemba: morbida, duttile, evocativa come una brezza africana. Un disco consigliato a tutti ma in particolare a coloro che amano il ritmo e la musica etnica. Ecco un assaggio…

151.11.48.50