Il Natale secondo Benedetto XVI

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La Specola vaticana è l’osservatorio astronomico dei gesuiti. Per secoli, i padri gesuiti sono saliti alla Specola,e da lì hanno studiato il cielo, cercando di comprendervi un senso. Oggi, la Specola di Castelgandolfo è qualcosa di più di un museo. Gli strumenti funzionano. Ma le luci sulla città di Roma e su quasi tutta l’Europa occidentale sono così forti che ormai è praticamente impossibile vedere le stelle. Così, un nuovo osservatorio della Specola vaticana è stato costruito in Centroamerica. Joseph Ratzinger va a visitare la Specola proprio a ridosso delle festività natalizie di uno dei suoi tanti anni romani. Ne resta colpito. Vede nell’osservazione del cielo una metafora della ricerca di Dio. E nell’omelia di Natale arriva alla conclusione che “la luce degli uomini, la luce prodotta da noi, nasconde alla vista le luci del cielo. Le nostre luci nascondono le stelle di Dio. È quasi una metafora: a causa delle troppe cose che abbiamo creato riusciamo a malapena a riconoscere la creazione di Dio e le sue tracce”.

Per Benedetto XVI il Natale è un giorno speciale. E’ il giorno in cui la sua famiglia si riunisce. Arriva anche il fratello Georg dalla Germania, e insieme mangiano il pranzo natalizio tradizionale tedesco: canederli, i weiss wurstel con senape dolce e i lebkuchen, i tipici biscotti speziati bavaresi. Ma è anche un giorno in cui riflettere sulla meraviglia del mistero di Dio. È una riflessione che parte da lontano, dal legame tra il mondo cristiano e il mondo ebraico. E che si legge nei suoi scritti e nelle omelie che lui ha tenuto nella notte di Natale quando ancora non era Papa.

È il Natale del Giubileo del 2000, e a Joseph Ratzinger viene chiesta una riflessione per il mensile 30Giorni. “Per Natale – scrive –  ci scambiamo dei doni, per dare gioia gli uni agli altri e partecipare così alla gioia che il coro degli angeli annunziò ai pastori, richiamando alla memoria il regalo per eccellenza che Dio fece all’umanità donandoci suo Figlio Gesù Cristo. Ma questo è stato preparato da Dio in una lunga storia, nella quale Dio si abitua a stare con l’uomo e l’uomo si abitua alla comunione con Dio. Questa storia comincia con la fede di Abramo, padre dei credenti, padre anche della fede dei cristiani e per la fede nostro padre”. Israele e la Chiesa sono inscindibili per i cristiani. “Si sa – scrive Ratzinger – che ogni parto è difficile. Certamente fin dall’inizio la relazione fra la Chiesa nascente ed Israele fu spesso di carattere conflittuale. La Chiesa fu considerata da sua madre figlia degenere, mentre i cristiani considerarono la madre cieca ed ostinata.

Nella storia della cristianità le relazioni già difficili degenerarono ulteriormente, dando origine in molti casi addirittura ad atteggiamenti di antigiudaismo.  Anche se l’ultima esecrabile esperienza della Shoah fu perpetrata in nome di un’ideologia anticristiana, che voleva colpire la fede cristiana nella sua radice abramitica, nel popolo di Israele, non si può negare che una certa insufficiente resistenza da parte di cristiani a queste atrocità si spiega con l’eredità antigiudaica presente nell’anima di non pochi cristiani”.

L’invito a ripartire da Dio, dalla fede, dalla dottrina, Ratzinger lo lancia ai fedeli di Monaco già nella Notte di Natale del 1978: “I Concili della Chiesa delle origini si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, inattesa e sempre inconcepibile e indicibile: nel tempo il figlio eterno di Dio è diventato figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nell’eternità è diventato uomo nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio è figlio vero dell’uomo.

Oggi nella cristianità questi dogmi non contano più molto. Ci sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita. E ignorarli o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante, sembra essere quasi una specie di “trasgressione perdonabile” per i cristiani. Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli a parole in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Inoltre ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza.  Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell’uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi ed il mondo ad aderire ad un vuote relativismo”. Sono parole della notte di Natale che diventeranno il tema portante dell’intero pontificato.

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