Il Papa ai detenuti: “Spesso nella mia famiglia parliamo di voi”
“Il Papa era molto emozionato, e durante il tragitto in auto mi ha detto: ‘ Andiamo a visitare i nostri fratelli detenuti, che sono quelli che hanno più diritto di tutti’”. Il cardinal Agostino Vallini, vicario del Papa per la città di Roma, si sofferma un po’ nel carcere di Rebibbia dopo la partenza del Papa. Va nelle cucine, dove gli presentano i cuochi e i volontari. E dove benedice una immagine della Madonna del Divino Amore, la mamma di Roma, posta in un angolo tra i fornelli, sopra le mattonelle bianche e gialle di cui sono fatte le cucine. E l’emozione del Papa era visibile e forte durante la visita nel carcere di Rebibbia.
“E’ stato Benedetto XVI – racconta Carmelo Cantone, direttore della Casa Circondariale di Rebibbia – a esprimere il desiderio di visitare il carcere. E subito abbiamo individuato come data la domenica prima di Natale”. Una data che i detenuti hanno atteso con impazienza, e prima della quale è arrivato un regalo inaspettato: il “decreto svuota carceri”, con il quale si dovrebbe dare un primo sollievo alla situazione delle carceri italiane. A Rebibbia, in particolare, sono detenute 1750 persone, suddivise in 14 sezioni, ma la capienza è di sole 1200 persone. Molte sono dentro per reati come l’oltraggio, altri addirittura sono ancora in attesa di processo. Il sovraffollamento rende la gestione degli spazi molto difficile.
E il Papa – che della sollecitudine verso il mondo dei detenuti ha fatto una costante del Pontificato (ricorda lui stesso che Gesù è stato detenuto e condannato “alla pena capitale”, mentre il direttore dell’Osservatore Romano Gian Maria Vian sottolinea che il Papa “ha conosciuto l’internamento”) – sottolinea che “il sovraffollamento delle carceri può rendere ancora più amara la situazione. Me lo confermano le numerose lettere ricevute da detenuti. E’ importante che le istituzioni promuovano un’attenta analisi della situazione carceraria, verifichino le strutture e i mezzi. E’ importante promuovere uno sviluppo del sistemazione carceraria che, pur nel rispetto della giustizia, sia sempre più adeguato alle esigenze e al rispetto della persona umana”.
Benedetto XVI ricorda le parole sulla situazione carceraria contenute nell’esortazione post-sinodale Africae Munus, sottolinea che “la giustizia umana e la giustizia divina sono molto differenti”, ma che “la nostra giustizia è tanto più perfetta tanto più sarà orientata dall’amore per Dio e per i fratelli”. Da un lato – ha detto ancora il Papa – occorre tutelare la società da eventuali minacce, dall’altro rieducare e recuperare chi ha sbagliato, “nel rispetto della dignità di tutti perché colui che proclama la giustizia con forza” deve “al tempo stesso curare le ferite con il balsamo della misericordia”.
Ma il sentimento più forte è la compassione. Il Papa ascolta i quesiti che gli vengono posti da sei detenuti, e risponde a tutti con partecipazione. Federico parla a nome del braccio G12 e infermeria e chiede al Papa di “portare la nostra voce dove la nostra voce non viene sentita. Siamo caduti, siamo qui per rialzarci. Troppo poco si parla di noi, troppo spesso si parla di noi in modo feroce”. Il Papa riprende le parole di Federico: “Lei ha detto parole memorabili: ‘siamo caduti, siamo qui per rialzarci’. E’ vero che di voi si parla in modo feroce. Ma le posso dire che nella famiglia papale non è così. Nella mia famiglia ci sono quattro memores, quattro consacrate laiche, che hanno molti amici che fanno volontariato in carcere. Con loro si parla spesso di voi, dei vostri problemi, e vi assicuro non in modo negativo. Dobbiamo però anche sopportare le persone che parlano di noi in modo feroce. Parlano in modo feroce anche del Papa!”
Omar è commosso, non sa cosa dire, prorompe alla fine in un “Papa, ti voglio bene!”. “Ti voglio bene anch’io”, risponde il Papa. E un immigrato africano gli chiede perché Dio non ascolta i poveri. Benedetto XVI ricorda il suo recente viaggio in Benin, e nota che “ha avuto un’accoglienza esuberante, lì c’è gioia di vivere. Noi siamo troppo presi a pensare di comprare questo o quello, e ci siamo allontanati così dall’esperienza di Dio, che c’è”.
Le domande si susseguono. Giovanni chiede al Papa perché deve avere l’assoluzione da un prete. “Se io penso di aver fatto male, e mi inginocchio davanti a Dio, e chiedo perdono, lui mi assolverebbe?”. E Benedetto XVI risponde che, sì, Dio lo potrebbe perdonare. Ma che il peccato non ha solo una dimensione “verticale, del rapporto con Dio, ma anche una dimensione orizzontale. E se io pecco, senza rendermene conto, ho macchiato la comunità dei fedeli. Il peccato non è solo personale, è anche sociale, e perciò si esige l’assoluzione”.
Alberto porta una foto della sua famiglia. Ha appena avuto una figlia, Gaia. Chiede al Papa se gli sembra giusto che debba stare ancora in carcere, dato che ha già pagato l suo debito con la sua giustizia. “Non conosco il suo caso giudiziario – dice il Papa – ma spero che possa tornare presso la sua famiglia. Come sa, la Chiesa incoraggia molto la formazione della famiglia”.
E Rocco, il primo a prendere la parola, chiede che “il suo speciale gesto di venire tra noi sia capito”. “Io prego sempre con voi”, ha risposto il Papa. E poi ha proseguito: “La condizione che vivete qui è una condizione molto difficile che spesso invece di aiutare a rinnovare l’amicizia con Dio e con la società, peggiora la situazione interiore. La mia visita è una visita segno di amicizia per voi, ma è anche un gesto pubblico è per ricordare ai cittadini, alle istituzioni che la giustizia implica come primo fatto la dignità umana. Siamo convinti che il nostro governo, i responsabili faranno il possibile per aiutarvi a trovare una giustizia che aiuti a tornare nella società, con tutta la convinzione della vostra vocazione umana e tutto il rispetto che esige. Il senso è di rinnovare la dignità umana e migliorare la considerazione per voi: speriamo che il governo abbia tutte le disponibilità per rispondere a questa vocazione”.
È il momento dei saluti, non prima di aver recitato un Padre Nostro. Benedetto XVI riceve in dono dai detenuti un quadro dipinto da uno dei carcerati, un dolce con la Nutella su cui sono disegnate con la cioccolata le parole “Papa ti vogliamo bene”, un cesto natalizio. Esce, nell’area verde – dove una volta al mese un braccio di Rebibbia può ospitare la famiglia, e infatti l’area è fornita anche di giochi per bambini – e benedice il cipresso che lui stesso ha regalato, e che si staglia di fronte alla Chiesa del Padre Nostro, di pianta circolare.
Si è avverato così il sogno di don Sandro Spriano, il cappellano del carcere. Che ha ricordato di aver scritto questo sogno della visita del Papa a Rebibbia – all’improvviso, senza scorta, in una giornata di Ferragosto – due anni fa. E che oggi, ha supplicato Benedetto XVI “perché convinca i cristiani che formano il popolo di Dio fuori da queste mura a pregare per chi è in prigione. Quelli che si trovano in carcere hanno compiuto azioni orrende e provocato tragedie spesso insanabili, ma restano Figli di Dio, bisognosi di consolazione e di amore, e sperano di essere considerati e chiamati nostri fratelli e nostre sorelle. A nome mio e di tutti i detenuti chiedo perdono per le nostre colpe e per le sofferenze inflitte agli altri, vorremmo poter ricomporre le rotture, le separazioni che abbiamo provocato. Ma non vogliamo però essere sempre identificati con le nostre azioni sbagliate, chiediamo di poter tornare nella società senza il marchio di ‘mostri del male”.