Papa Luciani verso la canonizzazione
Papa Francesco ha riconosciuto le virtù eroiche di papa Luciani, che è nato il 17 ottobre 1912 a Forno di Canale, oggi Canale d’Agordo (Italia) e morto il 28 settembre 1978, dopo 33 giorni di pontificato: papa Luciani è ora venerabile. Ed in concomitanza del riconoscimento è uscito il libro della vaticanista ed editorialista di Avvenire, Stefania Falasca, ‘Papa Luciani. Cronaca di una morte’, con la prefazione del card. Pietro Parolin, che fa chiarezza a quasi 40 anni dalla sua elezione e morte della vicenda: “E’ tempo di riavvolgere il nastro della storia. Per ricominciare da lì, dalla fine. Da quegli ultimi stralci di vita in quella sera del 28 settembre 1978”.
Una ricostruzione storico-scientifica che, nel rispetto totale delle fonti, ha scelto la forma avvincente del racconto, così da essere chiara e accessibile a tutti, aprendo squarci impensabili e sciogliendo le inesauribili trame che fiorirono intorno a questa vicenda. E nel suo blog ‘Scripta volant’ l’autrice ha proposto un inedito del 1970 di papa Luciani sulla povertà:
“Avevano scelto un apostolo del Concilio, che aveva fatto del Concilio il suo noviziato episcopale, di cui spiegò con cristallina lucidità gli insegnamenti e ne tradusse rettamente e con coraggio in pratica le direttive. Anzi le incarnava. In primis la povertà che per Luciani costituiva la fibra del suo essere sacerdotale. E’ stato osservato che non si può ignorare l’humus sociale di quella storia di povertà rurale e operaia del Veneto dal quale proveniva.
Tuttavia non è la povertà del populismo, non è la vicenda romantica e paternalistica del modesto prete di montagna, ma quella storica ed esistenziale che si assimila anche con l’educazione e che per Luciani, sacerdote di solida formazione teologica, affondava le radici nel mai dimenticato fondamento di una Chiesa antichissima, senza trionfi mondani, vicina agli insegnamenti dei Padri, sul modello di Cristo e della predilezione per i poveri, e senza la quale poco si capirebbe dello spirito di governo di Giovanni Paolo I.
Luciani aveva sposato la povertà, ne aveva fatto la dote più importante, e da essa aveva tratto alimento anche la sua cura d’anime. Ed è proprio l’abito non usato come slogan, non ostentato e non occasionale della povertà che ha dato alla sua stessa parola il senso della concretezza e che ha conferito alla sua persona di vescovo credibilità e le qualità di indulgenza e severità, di comprensione umana e del saper attendere, unite alla fermezza nella custodia del depositum fidei.
L’adesione di Luciani sia sul piano teologico che pastorale alle linee del magistero montiniano in materia sociale, espresse in particolare nella ‘Populorum progressio’, è totale e diviene per Giovanni Paolo I l’orientamento della Chiesa nello sguardo sul mondo. A questo richiama da Pontefice anche nell’ultima udienza generale riprendendo l’affermazione che ‘la proprietà privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto’ e ‘che i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza’. Del motivo della Chiesa povera al servizio degli ultimi è intessuto il suo magistero”.
Ecco cosa significa la parola ‘povertà’ per l’allora patriarca di Venezia nella riflessione ai sacerdoti: “Essere sociologicamente povero ha valore o no? Non in se stesso, ma in quanto dispone naturalmente alla povertà evangelica-spirituale di cui sopra: chi è povero è più disposto a confidare in Dio, chi è ricco è portato a dimenticare Dio: per questo Cristo è duro con la ricchezza (non è che fosse risentito contro i ricchi per motivi populistici, ma per motivo religioso: la ricchezza vi impedisce di aprire il cuore al desiderio del Regno di Dio)”.
E nella prefazione al libro dell’autrice il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, ha scritto: “Albino Luciani, prete, vescovo, patriarca e poi papa è stato e rimane un punto di imprescindibile riferimento nella storia della Chiesa italiana e universale. La sua è la storia di un vescovo che ha vissuto l’esperienza del Concilio ecumenico Vaticano II e l’ha applicata. Un uomo di intelligenza acuta e aperta. Un pastore vicino al popolo santo e fedele di Dio, fermo sull’essenziale della fede e con una straordinaria sensibilità culturale e sociale.
Un uomo di Chiesa mite ma al contempo fermo nel governare; sapiente e al contempo capace di esprimersi in modo semplice e accessibile a tutti. Una penna brillante, da giornalista e scrittore, come dimostra il suo Illustrissimi, che ha voluto correggere e ridare alle stampe nel corso del suo pontificato. Prossimità, umiltà, semplicità e insistenza sulla misericordia e sulla tenerezza di Dio sono i tratti salienti di un magistero petrino che quarant’anni fa suscitarono attrattiva e oggi restano più che mai attuali”.