L’approfondimento. Belgio, il Paese che non c’è
Tenete a mente la data: questo 21 luglio 2008 potrebbe essere l’ultima volta che il Belgio ha celebrato la sua festa nazionale. Ma nessuno sembra preoccuparsene, se non la classe politica. Il dramma si consuma nell’indifferenza: la grande maggioranza dei belgi, fiamminghi, valloni e brussellesi, ha approfittato del week-end lungo ed è partita per qualche spiaggia assolata del Sud Europa.
I pochi rimasti sotto il cielo perennemente autunnale del paese, invece, approfittano di ogni schiarita in cerca di relax e svago. I fuochi d’artificio sono già pronti, i palchi per i concerti, le bancarelle e gli stand sono stati preparati da giorni. E il re Alberto II ha già registrato venerdì l’annuale videomessaggio al paese. Del resto, è dal 1830, anno della nascita forzosa del Belgio, fusione a freddo delle Fiandre del Sud neerlandofone e della Vallonia francofona alla cui testa venne messo un sovrano tedesco, Leopoldo I, che periodicamente scoppiano crisi, divenute sempre più acute e frequenti a partire dal secondo dopoguerra.
L’ultima e la più grave, è quella che si protrae ininterrottamente dal 10 giugno 2007, data delle ultime elezioni federali. Che hanno dato vita ad un paradosso tutto belga: plebiscitato primo ministro con 800mila voti, Yves Leterme del CD&V, il partito cristiano-democratico delle Fiandre alleatosi per l’occasione con il nazionalista N-VA formando il cartello CD&V/N-VA, si è dimesso dalla carica già tre volte, di cui due ancora nella fase preliminare di formazione del governo e l’ultima lunedì scorso.
L’ultima crisi
L’ultima crisi si apre quando a Parigi solcano il cielo i fuochi d’artificio del 14 juillet, sulle note della marsigliese… le stesse che Leterme aveva intonato per errore lo scorso 21 luglio al posto della brabançonne, l’inno belga.
Un segno sintomatico del male che attanaglia il paese e che oggi blocca la discussione politica tra gli stessi partiti che hanno vinto le elezioni: l’identità del Belgio. Alias i “problemi comunitari”, relativi alla struttura e all’organizzazione dello stato, che in Belgio da unitario, centralizzato e francofono è diventato progressivamente trilingue (esiste anche una minoranza germanofona), decentralizzato e, infine, federale con la riforma costituzionale del 1992. Oggi lo compongono tre regioni (fiamminga, vallona, Bruxelles-Capitale) con una propria assemblea parlamentare, un presidente e i ministri, e tre comunità (fiamminga, francese e germanofona). Un complesso puzzle dove però molti pezzi non si incastrano più…
Infatti il Belgio era già rimasto senza guida sino al 21 dicembre 2007, quando a tamponare la situazione interviene il premier uscente, Guy Verhofstad, con un governo interimario di tre mesi per gestire gli affari più urgenti. È solo il 20 marzo scorso quando Leterme riesce finalmente a montare in sella al suo governo: un laborioso insieme di cristianodemocratici fiamminghi in cartello con i nazionalisti (CD&V/N-VA), liberali fiamminghi (OpenVLD), liberali francofoni (MR), cristianodemocratici francofoni (cdH) e socialisti francofoni (PS).
Perché anche i partiti politici, una volta unitari, a partire dal 1968 hanno iniziato un processo di separazione in fiamminghi e francofoni dando vita agli inizi degli anni Ottanta (ultimi saranno i socialisti) ad un sistema a partiti “doppi” ma del tutto indipendenti e slegati tra loro. Trasformandosi di fatto in partiti regionali… eletti però per governare a livello nazionale!
Il pomo della discordia
Il governo Leterme si era fissato la data-capestro del 15 luglio per presentare il primo pacchetto di “riforme istituzionali”: alle 22h30 del 14 luglio, però, il premier ha presentato a re Alberto le dimissioni per la terza volta in un anno. Impossibile concludere un accordo tra fiamminghi e francofoni, in una dinamica in cui il premier stesso è ostaggio del cartello CD&V/N-VA che lo ha eletto e dei giochi politici che si stanno consumando al suo interno.
A giugno 2009, infatti, oltre alle elezioni europee in Belgio sarà il momento delle elezioni regionali, la cui posta in gioco è altissima.
I fiamminghi vorrebbero più autonomia, soprattutto in ambito fiscale e di welfare, in linea con la loro crescita economica opposta alla depressione in cui si trovano da anni la Vallonia e Bruxelles, enclave francofona in territorio fiammingo che dal 1988 costituisce una regione a parte. I valloni, invece, vorrebbero un diverso sistema di finanziamento economico e di assegnazioni dei fondi.
Nello specifico, però, l’oggetto-simbolo del desiderio su cui dal 1978 cadono governi su governi è una sigla: BHV. Ovvero la circoscrizione elettorale di Bruxelles-Hal-Vilvorde di cui i fiamminghi chiedono la scissione: un ginepraio politico-giuridico, perché i 19 comuni che ne fanno parte hanno maggioranze linguistiche differenti ma non omogenee. In alcuni di essi per le minoranze francofone sono attivate delle “facilitazioni” (amministrazione, istruzione e giustizia fornite nella lingua della minoranza). Che i fiamminghi vorrebbero vedere sparire, considerandole misure “temporanee”.
Per scoraggiare l’insediamento dei francofoni in questi comuni, i cui abitanti eleggono i deputati francofoni o fiamminghi al parlamento federale a seconda della loro appartenenza linguistica, sono state applicate alcune misure già considerate discriminatorie dalle Nazioni Unite come il “wooncode”, ovvero il codice che regola l’assegnazione delle case popolari. Secondo questo, che si applica anche nel resto delle Fiandre, le abitazioni possono essere assegnate solo a coloro che parlano il fiammingo o che dimostrano di impararlo. Alcuni beni immobili, inoltre, possono essere venduti solo sotto le stesse condizioni. Recentemente, poi, sono stati invitati i cittadini di alcuni comuni a “segnalare” ad un apposito ufficio quei negozi o attività commerciali che espongono insegne in una lingua altra che il fiammingo.
Bye Bye Belgium?
Ecco perché alle 22h49 di giovedì 17 luglio re Alberto, al termine di tre giorni di frenetiche consultazioni, ha respinto le dimissioni e riconfermato Leterme come primo ministro sotto la “tutela” di tre “emissari reali” di area francofona, con l’incarico di creare le condizioni per un dialogo istituzionale.
La stampa belga, sia al Nord che al Sud del paese, si è mostrata fortemente critica di fronte al reincarico a Leterme e ancor più scettica riguardo al risultato della missione dei tre “esploratori”.
Secondo i commentatori francofoni, l’obiettivo sarebbe quello di “tirare avanti” ancora qualche mese e poi, di fronte all’ennesima impossibilità di uscire dall’impasse, indire nuove elezioni federali in contemporanea con le regionali e le europee di giugno 2009.
A tutti, però, pare chiara ormai una cosa: se dovesse fallire la strategia verso cui si sta cercando di orientare il dialogo, ovvero quella di un confederalismo a tre (Fiandre, Vallonia e Bruxelles) in cui le regioni stesse dovrebbero avere un ruolo fondamentale nella negoziazione del nuovo assetto istituzionale, la “separazione di velluto” sarà inevitabile.
Se a fine 2006 “Bye Bye Belgium”, il falso scoop mandato in onda dalla tv pubblica francofona (perché sì, anche la tv pubblica è separata, i palinsesti sono diversi, le star tv sono diverse…) aveva scioccato mostrando una fantomatica dichiarazione di indipendenza unilaterale delle Fiandre, la separazione tra Fiandre e Vallonia da qualche tempo ha cessato di essere un tabù. Le bandiere col tricolore belga che a ottobre avevano sventolato da tante finestre di Bruxelles ormai sono state ammainate.
La gente comune, che della querelle BHV conosce solo la sigla e che da un anno si sveglia ascoltando alla radio e leggendo sui giornali sempre le stesse dichiarazioni, è ormai indifferente. Una tra le inflazioni più alte dell’UE, il carovita in picchiata, le bollette alle stelle, la perdita del potere d’acquisto… molti ritengono che la questione comunitaria sia solo la foglia di fico dietro cui la classe dirigente nasconde l’incapacità di affrontare questi problemi.
E se per risolverli la sola soluzione è separarsi, allora pazienza: persino nei caffé e tra i francofoni comincia a farsi più frequente l’idea della “separazione di velluto” alla cecoslovacca. Un presagio inquietante, dal paese che ospita la capitale di quella che dovrebbe essere l’Europa unita.