Un rabbino parla con il Papa
Cosa hanno in comune un Papa e un rabbino? Molto, se il Papa è Benedetto XVI e il rabbino è Jonathan Sacks, il capo della comunità ebraica del Commonwealth. E basta andarsi a rileggere quello che hanno detto e fatto negli ultimi anni per comprendere che quello che avverrà è qualcosa di più di un mero incontro privato. È l’incontro tra due capi religiosi che sentono forte la necessità di riportare la religione e la fede al centro della sfera pubblica. E che per farlo portano avanti le stesse argomentazioni.
Si può andare avanti con citazioni incrociate, e scoprire che le differenze sono minime. “Sperimentiamo una crescente indifferenza nei confronti della religione in una società che considera il problema della verità come un ostacolo nel prendere decisioni, e invece dà priorità a considerazioni utilitaristiche. La religione è uno dei fondamenti per una vita sociale riuscita”, ha detto Benedetto XVI in Germania, dopo il suo incontro con il presidente tedesco Christian Wulff.
Il Papa ha fatto del suo Pontificato un continuo invito a non escludere la religione dalla vita pubblica e un continuo appello contro l’indifferenza di Dio. In una meditazione al Sinodo per il Medioriente, parlò chiaramente di falsi dei, e tra questi inserì anche i capitali finanziari anonimi.
Come la pensa il rabbino Sacks? “La suprema ironia della nostra corrente situazione – ha detto il rabbino in una recente conferenza – è che la sperimentiamo in un’era secolare non a causa di una mancanza di fede, ma al contrario a causa di troppa fede nelle cose sbagliate. La fede nel mercato come un sistema che si auto corregge. La fede nell’aver reso sicuro ogni rischio, come se si potesse eliminare l’incertezza pagando qualcun altro di prendersi in carico della tua incertezza. La fede in autorità che fanno regole per liberare il mondo dal peccato. La fede nella combinazione del mercato e della tecnologia per generare una crescita economica senza fine”.
È la fede la risposta ai tempi che stiamo vivendo? “Siamo dove siamo – continua il rabbino Sacks – e possiamo solo guardare Avanti. La questione per molti di noi deve sicuramente essere: qual è il miglior investimento per i prossimi anni? Non è la borsa. Quella può crollare. Non è acquistare case. È un valore che può abbassarsi. Non sono le opere d’arte. Chi può sapere quale sarà il gusto, tra dieci o venti anni? Il miglior investimento oggi è nei beni spirituali: amore, fiducia, amicizia e perdono, preghiera e liturgia, vita dell’anima. È arrivato il momento di investire nelle più profonde fonti della felicità: il matrimonio, la famiglia e il focolare domestico, l’amore tra moglie e marito, genitore e figlio. È il tempo di investire nelle comunità e nelle reti di supporto delle persone con le quali condividiamo le nostre preghiere, memorie e ideali. La comunità è dove le nostre gioie vengono raddoppiate e la nostra tristezza alleviata perché la condividiamo con gli altri”.
Eppure, dai tempi dell’Illuminismo in poi, l’indifferenza religiosa è stata invocata come un segno di maturità intellettuale dell’uomo moderno, o come la condizione per realizzare la sua completa liberazione. È stato detto a gran voce che l’uomo potesse vivere etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse.
La sfida lanciata da Benedetto XVI è stata invece quella di vivere come se Dio ci fosse. Una sfida che non coinvolge solo l’etica, ma anche l’azione morale. E che riguarda anche un qualcosa di molto pratico, come la crisi che stiamo vivendo. “L’economia e il mercato – ha il Papa parlando alla Confederazione delle Banche cooperative italiane – non possono mai essere separate dalla solidarietà”.
Basta rileggere il rabbino Sacks, per capire quanto i due siano d’accordo: “Il capitale sociale è vivo e vegeto, ed esiste nelle Chiese e nelle sinagoghe. La religione funziona, che ci si creda o no”.
Così, un rabbino e un Papa si trovano a parlare, e sembra di non poterli distinguere. Partono da una base comune, che è la fede. E su quella costruiscono il loro dialogo. Per ripartire da Dio e costruire una nuova civiltà.