Il mondo ha celebrato i diritti umani

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Il 10 dicembre 2011 è stata celebrata la Giornata Internazionale dei Diritti Umani, la cui carta è stata firmata a Parigi il 10 dicembre 1948; un documento di straordinaria importanza che in trenta articoli parla della dignità e del valore di ogni persona, definendo con parole chiare e semplici i diritti fondamentali. Sono diritti civili, politici, economici, sociali e culturali. Sono diritti individuali ma anche universali e indivisibili. Parliamo del diritto alla vita, alla pace, alla libertà, all’uguaglianza, al cibo, all’educazione, alla salute, alle pari opportunità, all’ambiente, all’acqua, alla casa, alla giustizia, allo studio, alla cittadinanza, al lavoro, alla pensione… L’art. 1 così recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

 

 

In occasione di tale ricorrenza il prof. Antonio Papisca, docente di ‘Diritti umani, democrazia e pace’ presso il Centro interdipartimentale sui diritti della persona e dei popoli dell’Università di Padova, così ha commentato questo articolo: “L’articolo 1 dice chiaramente qual è il fondamento dei diritti umani: è l’essere umano in quanto tale. Si nasce con i diritti e le libertà fondamentali. Il legislatore, nel nostro caso il legislatore internazionale, non ‘crea’ né ‘concede’ i diritti umani, ma li ‘riconosce’. I diritti umani preesistono alla legge scritta. I diritti umani siamo noi…

Dire diritti umani significa dire consapevolezza di altissima responsabilità personale e sociale, da spendere in termini di solidarietà e di servizio alla comunità. Gli estensori della Dichiarazione intesero i diritti umani come ‘verità pratiche’: il diritto alla vita è il bisogno vitale di vivere, il diritto al lavoro è il bisogno vitale di lavorare, e così via. Dissero: scriviamo un elenco di verità pratiche, senza chiederci qual è il loro fondamento. Ma l’articolo 1 esplicita senza mezzi termini proprio questo fondamento”.

Anche nel recente incontro ministeriale di Vilnius l’Arcivescovo Dominique Mamberti, Segretario per le relazioni con gli Stati della segreteria di Stato vaticana, ha rilanciato la proposta d’istituire una Giornata internazionale annuale per il ricordo dei martiri cristiani moderni. Riferendosi al Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della Pace 2011, sulla libertà religiosa, mons. Mamberti, ha ricordato che “i cristiani sono attualmente il gruppo religioso che soffre il maggior numero di persecuzioni a motivo della propria fede…. Potrebbero esserci più di duecento milioni di cristiani, di differenti confessioni, che sono in difficoltà per via di strutture legali e culturali che portano alla loro discriminazione”.

Il Segretario vaticano ha apprezzato l’impegno che l’Osce ha preso per sostenere la libertà religiosa. Egli ha ricordato che “la Dichiarazione del Vertice di Astana [ha affermato chiaramente che ‘devono essere compiuti sforzi maggiori per promuovere la libertà di religione o di credo e per combattere l’intolleranza e la discriminazione’. Il diritto alla libertà religiosa, nonostante venga ripetutamente proclamato dalla comunità internazionale nonché nelle costituzioni della maggior parte degli Stati, continua a essere ampiamente violato oggi”.

Inoltre,la Rete asiatica contro la pena di morte (Adpan) ha pubblicato un rapporto dal titolo ‘Quando manca la giustizia. Migliaia messi a morte dopo processi iniqui’, in cui denuncia come 14 paesi asiatici eseguano più condanne a morte del resto dei paesi del mondo e descrive gli sforzi in atto per garantire processi equi in otto di quei paesi.

Il rapporto sollecita un’azione in favore di otto persone che rischiano l’esecuzione in Cina, Giappone, India, Indonesia, Malesia, Pakistan, Singapore e Taiwan. In ciascuno di questi casi, la condanna a morte è stata inflitta dopo un processo iniquo e in sei su otto l’accusa si è basata su prove estorte mediante tortura: “Solo l’abolizione della pena capitale può garantire che nessun innocente venga messo a morte. Le scuse dei governi per gli ‘errori’ non possono mai essere abbastanza”, ha commentato Hsinyi Lin, direttore esecutivo dell’Alleanza taiwanese per la fine della pena di morte.

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