L’antidoto all’indifferenza religiosa? La novità del Vangelo
“Gli indifferenti sono persone per le quali il messaggio cristiano non è una novità, ma che hanno già avuto una certa esperienza cristiana. In realtà, essi credono di conoscere il messaggio cristiano, mentre la cognizione che ne hanno è estremamente superficiale e frammentaria”. Parla dell’indifferenza religiosa lo scritto inedito dell’arcivescovo emerito di Napoli Michele Giordano – morto poco più di un anno fa – contenuta nel libro “Il cortile dei Gentili”, di Francesco Antonio Grana (edizioni L’Orientale). Uno scritto che a Grana – che il cardinale definiva “un figlio” – è stato consegnato dal cardinal Giordano prima di morire, e che chiudono un ideale colloquio: quello tra un figlio che vuole raccontare la Chiesa, e un padre che la racconta e vive da tempo.
È, in fondo, il dialogo che ogni credente in cammino vorrebbe e dovrebbe fare. Ed è il dialogo che cercano anche quelli che non credono, ansiosi di comprendere se c’è un senso a tutto quello che dicono. Non a caso, Benedetto XVI ha affermato che gli agnostici sono più vicini a Dio dei fedeli di routine. Perché è nella ricerca che si crea il dialogo tra chi crede e non crede. Quel dialogo che Benedetto XVI ha sintetizzato con un luogo: il cortile dei Gentili, “una grande piazza – scrive Grana – dove stavano venditori e cambiavalute, quelli che Gesù scaccia con foga per purificare quello spazio nel quale avevano accesso tutti i popoli, e non solo gli Israeliti, per poter pregare il Dio a loro ancora sconosciuto, anche se non potevano accedere all’interno del tempio e celebrare pienamente il mistero”.
Il Cortile dei Gentili; l’evangelizzazione dei Greci da parte di San Paolo (ricordata anche nel discorso di Ratisbona); la nuova evangelizzazione a partire dalla perenne novità del Vangelo. Guardando in retrospettiva il pontificato di Benedetto XVI, si potrebbe dire che tutto il suo sforzo sia stato in fondo di rendere nuovo e vivo il messaggio evangelico, senza per questo perdere il contatto con la verità della fede. Ma c’è da considerare un altro passaggio. Il cardinal Giordano, nel suo scritto, è chiarissimo: “Il problema che la Chiesa, di fronte all’incredulità e all’indifferenza religiosa del mondo moderno, deve porsi con maggiore acutezza è quello della sua credibilità. Non si può, infatti, non tener conto che molti, oggi, non credono e si allontanano da Dio divenendo religiosamente indifferenti, a causa della contro-testimonianza dei cristiani, ma soprattutto i cosiddetti uomini di Chiesa, sacerdoti e religiosi, danno al Vangelo che annunziano”. Accusa che possono essere false o esagerate, che possono essere un alibi per giustificare “di fronte alla propria coscienza il male che si compie o il bene che non si vuole fare”. Ma, “a ragione o a torto – conclude Giordano – il nostro modo incoerente di vivere la fede è oggi per molti una pietra di inciampo, uno scandalo (secondo il senso letterale di questa parola)”.
Una riflessione che Benedetto XVI ha fatto propria sin dall’inizio del suo pontificato, e anche prima, da quella via Crucis in cui sottolineava “la sporcizia” all’interno della Chiesa stessa. E lo ha fatto ai piedi dell’immagine dell’Immacolata a piazza di Spagna, sottolineando che “L’unica insidia di cui la Chiesa può e deve aver timore è il peccato dei suoi membri”.
Non si deve guardare solamente ai peccati “materiali”, a quelli visibili e che fanno scandalo sui giornali. Quanta parte ha la tiepidità dei cristiani nell’alimentare l’indifferenza religiosa? E quanta parte hanno gli stessi sacerdoti e vescovi, a non aver affrontato per tempo il dramma dell’uomo che non si pone più domande?
Perché basterebbe scorrere a ritroso gli articoli di giornale, e scoprire che già nel 1986, in un articolo sul Tempo, il filosofo Augusto Del Noce si interrogava sulle origini dell’indifferenza religiosa. E constatava che prima si parlava, sì, di indifferenza, ma “era una indifferenza che non importava negazione; si accompagnava spesso, anche al di fuori di ogni confessione religiosa, alla desiderabilità di un’altra vita in cui virtù e felicità fossero congiunte”. Ma c’era, osservava, una nuova indifferenza che “è più lontana dalla fede di quel che sia l’ateismo, e che in ciò si distingue dall’indifferenza di altri tempi”. Perché in fondo il marxismo era “una teologia rovesciata”, una “controreligione che era pur sempre una religione. Era la trascrizione secolarizzata del pensiero ebraico e cristiano”. Tra il marxismo che parlava di una speranza di una vita migliore e l’idealismo che voleva tenere l’immanenza di Dio, una sorta di “cristianesimo moderno” si è fatta strada invece la risposta laicista, per il quale “la condanna, insieme, degli elementi teologici del marxismo coincideva con l’abbandono di qualsiasi posizione religiosa. Di qui l’indifferenza nella sua nuova forma”.
Da qui, la necessità di promuovere una Nuova Evangelizzazione. E allo stesso tempo di dialogare. Il dialogo, alimentato anche dai dubbi e dalle domande, si contrappongono alla routine. E sono il primo antidoto contro l’indifferenza.