Non mi vedrete morire: la storia del beato gitano martire della fede

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In occasione del 75° anniversario del martirio e dei 150 anni dalla nascita  del  Beato Zeffirino (Ceferino) Jiménez Malla (1861-1936), gitano e martire della fede di origine spagnola, la Caritas Italiana, la Fondazione Migrantes e il Centro Europeo Risorse Umane hanno presentato in questi giorni – presso la Sala Marconi della Radio Vaticana – l’audiolibro “Non mi vedrete morire”, sulla figura del primo nomade dichiarato beato nella storia della Chiesa. Attraverso questo audiolibro – riferisce mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes – “abbiamo ripercorso, non solo la storia di vita di un rom nato in Spagna 150 anni fa e salito sugli altari nel 1997, martire della fede. La sua figura emerge per una santità quotidiana e, al tempo stesso, universale, a cui tutti possiamo e dobbiamo aspirare”.

 

“L’onestà, l’amore ai poveri, la partecipazione all’Eucaristia, la devozione mariana, la stima per i sacerdoti, la narrazione della storia della salvezza ai bambini, ai ragazzi sono – ha aggiunto mons. Perego – i tratti di una fede semplice e quotidiana che lo preparano al dono della vita, fino al martirio”. Gli zingari (suddivisi in diverse etnie) nel mondo sono circa 36 milioni; sono presenti nel territorio del nostro Paese da più di 600 anni e nonostante ciò non sono stati inclusi nella legge del 1999, che riconosce e tutela le “minoranze linguistiche storiche” presenti in Italia.“Ciò che di fatto oggi accomuna queste popolazioni – riferisce il direttore di Caritas italiana mons. Vittorio Nozza, nel corso del suo intervento – è prima di tutto la condizione di marginalità sociale in cui vivono, la strumentalizzazione di cui sono vittime, l’identificazione con un capro espiatorio su cui inevitabilmente si riversa il malcontento sociale”

.“La questione abitativa ancora incentrata sulla soluzione dei campi sosta, le enormi difficoltà incontrate per l’inserimento lavorativo e scolastico, i frequenti atti di razzismo e xenofobia cui i Rom e i Sinti sono soggetti nel nostro paese – ha proseguito mons. Nozza – testimoniano una situazione ancora lontana dall’effettivo riconoscimento dei diritti fondamentali”. Zeffirino Jiménez Malla è il primo “zingaro” a cui la Chiesa riconosce il titolo di beato. Nasce a Benavent de Segrià in Catalogna nel 1861 in condizioni di estrema povertà. Soprannominato “el Pelé”, Zeffirino si dedica al commercio distinguendosi per la sua grande sincerità e correttezza. Un gesto di grande carità, in modo particolare, lo renderà stimabile agli occhi di tutti. Un potente del luogo, affetto da tubercolosi, colto improvvisamente da malore svenne un giorno per strada e Zeffirino fu l’unico, tra i presenti, a prestargli immediato soccorso caricandolo sulle sue spalle per ricondurlo in casa. Questo gesto valse al povero mercante una lauta ricompensa che investì subito per migliorare le condizioni economiche della famiglia. Zeffirino e Teresa non hanno figli, decidono così di adottare Pepita, la nipotina di Teresa. La fede di Zeffirino nel frattempo è cresciuta; spesso lo si incontra per strada con in mano una corona di rosario o impegnato a soccorre gli zingari più poveri.

 

Nel luglio del 1936 la guerra civile mette in ginocchio la Spagna. Zeffirino, compiuti i 75 anni di età, viene arrestato con l’accusa di aver prestato aiuto a un sacerdote maltrattato da quattro miliziani anarchici. Un amico di Zeffirino – membro del Comitato rivoluzionario – gli suggerì, per aiutarlo a salvarsi, di rinnegare la fede cattolica e di disfarsi del Rosario che portava sempre con sé! Nella prigione non si doveva parlare di Dio! Ma Zeffirino non ebbe nessuna esitazione a perseverare nella fede e continuò a recitare quotidianamente il suo Rosario. La notte del 9 agosto i miliziani iniziarono a torturare ferocemente mons. Florentino – consacrato Vescovo proprio in quell’anno – decidendo poi di fucilarlo insieme ad altri dodici prigionieri. Tra questi c’era anche Zeffirino. Nell’introduzione all’audiolibro, Susanna Tamaro scrive: “A parole ci sentiamo tutti buoni, tolleranti, democratici. Firmiamo appelli, sottoscriviamo manifesti, ci battiamo per le cause dei più deboli ma poi, appena finita l’emergenza, torniamo alla nostra vita piena di paure, di pregiudizi, di catene. Zefferino non era così, non aveva due facce”.

“E’ proprio questo gigante buono – aggiunge la scrittrice – questo zingaro incapace di diffidenza e di pregiudizi a mostrarci la via verso la vera libertà, per spezzare le catene del risentimento e della rivendicazione che sembrano ormai avvolgere i nostri giorni”.  Il 12 giugno scorso circa 1400 zingari europei (gruppi Rom, Sinti, Manuches, Kale, Yenish e Travellers d’Europa e d’Italia) vennero ricevuti dal Papa in Vaticano. Benedetto XVI è stato il terzo pontefice ad incontrare ufficialmente le Comunità zingare; prima di lui Giovanni Paolo II, in occasione del Grande Giubileo del 2000 dove chiese perdono al Signore anche per i peccati commessi nei confronti degli Zingari dai figli della Chiesa, e ancor prima Paolo VI li aveva incontrati a Pomezia nel 1965. Durante l’incontro svoltosi in Vaticano Benedetto XVI disse: “La vostra storia è complessa e, in alcuni periodi, dolorosa. Siete un popolo che nei secoli passati non ha vissuto ideologie nazionaliste, non ha aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti. Siete rimasti senza patria e avete considerato idealmente l’intero Continente come la vostra casa. Tuttavia, persistono problemi gravi e preoccupanti, come i rapporti spesso difficili con le società nelle quali vivete.

Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II Guerra Mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato – come voi dite – il Porrájmos, il “Grande Divoramento”, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore. […] La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui!”. Forse non tutti sanno, infatti, guardando al passato, che tra i genocidi programmati da Hitler gli zingari occuparono tristemente il secondo posto. Essi venivano considerati «Portatori di una eredità notoriamente greve e malata, perché essi sono dei criminali inveterati, parassiti in seno al nostro popolo, al quale non possono apportare che danni immensi, mettendo a grave rischio la purezza del sangue…». Presero, così, la decisione di sterminarli tutti dall’Europa.

La notte di Natale del 1941 ne furono uccisi 800 in Crimea. Più di 30.000 morirono nelle camere a gas di Auschwitz, 4.000 furono eliminati in una sola notte (agosto 1944). In tutto ne furono uccisi più di 200.000. Chi ha mai parlato di loro? “Ci auguriamo – conclude il direttore generale della Fondazione Migrantes – che questo audiolibro, in mano soprattutto ai giovani, agli educatori, agli insegnanti, dentro le nostre comunità e scuole, possa costituire uno strumento utile per favorire incontro, conoscenza e valorizzazione della storia, della religiosità, della cultura rom, perché “nessuno si senta escluso nella Chiesa e nella società” e soprattutto le minoranze e i più poveri rimangano al centro della nostra attenzione e cura pastorale”.

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