Il teologo è l’ “uomo dell’Avvento”. E studia la Scrittura unendo fede e ragione. Parola di Benedetto XVI.

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Ogni teologo è “chiamato ad essere uomo dell’avvento, testimone della vigile attesa, che illumina le vie dell’intelligenza della Parola che si è fatta carne. Possiamo dire che la conoscenza del vero Dio tende e si nutre costantemente di quell’«ora», che ci è sconosciuta, in cui il Signore tornerà. Tenere desta la vigilanza e vivificare la speranza dell’attesa non sono, pertanto, un compito secondario per un retto pensiero teologico, che trova la sua ragione nella Persona di Colui che ci viene incontro e illumina la nostra conoscenza della salvezza”. Torna teologo tra i teologi, Benedetto XVI, incontrando i membri della Commissione Teologica Internazionale che hanno concluso tre giorni di plenaria. Tre i temi discussi: la questione metodologica nella teologia odierna; la comprensione del monoteismo e il significato della Dottrina sociale della Chiesa. Benedetto XVI li mette uno dietro l’altro, con chiarezza e semplicità. Il Papa fa ai colleghi un discorso sul dialogo: il dialogo tra teologia e filosofia, il dialogo tra fede e ragione, il dialogo con l’altro. Un discorso che ricorda alla fine quanto ci sia bisogno della teologia. Perché “senza una sana e vigorosa riflessione teologica la Chiesa rischierebbe di non esprimere pienamente l’armonia tra fede e ragione. Al contempo, senza il fedele vissuto della comunione con la Chiesa e l’adesione al suo Magistero, quale spazio vitale della propria esistenza, la teologia non riuscirebbe a dare un’adeguata ragione del dono della fede”.

Si parte dalla Trinità, e dalla rivelazione di Gesù. Perché – afferma il Papa – “la teologia cristiana, insieme con la vita dei credenti, deve restituire la felice e cristallina evidenza all’impatto sulla nostra comunità della Rivelazione trinitaria. Benché i conflitti etnici e religiosi nel mondo rendano più difficile accogliere la singolarità del pensare cristiano di Dio e dell’umanesimo che da esso è ispirato, gli uomini possono riconoscere nel Nome di Gesù Cristo la verità di Dio Padre verso la quale lo Spirito Santo sollecita ogni gemito della creatura (cfr Rm 8)”. È nella Trinità (il “monoteismo trinitario”) che viene mostrato il “vero volto di Dio”, e i credenti devono essere aiutati a comprenderlo dalla teologia in dialogo con la filosofia, dice il Papa. Anche perché questo monoteismo che esprime il vero volto di Dio “non è fonte di violenza, ma è forza di pace personale e universale”. Che la violenza sia irragionevole e fuori dal pensiero religioso è un tema molto caro a Benedetto XVI. Ne parlò nella lezione di Regensburg, ha ripreso il tema più volte negli incontri con le altre confessioni religiose, fino ad arrivare a quello che ha affermato ad Assisi, nell’incontro con le religioni mondiali dello scorso 27 ottobre: “La violenza è una contro-religione”.

Irragionevole, anche perché la fede ha una sua razionalità, e il legame tra fede e ragione è lì a testimoniarlo. Anche quest’ultimo è un tema più volte da sviluppato da Benedetto XVI. Il quale, di fronte alla Commissione Teologica Internazionale, ricorda anche come “la teologia cattolica, sempre attenta al legame tra fede e ragione, ha avuto un ruolo storico nella nascita dell’Università. Una teologia veramente cattolica con i due movimenti, «intellectus quaerens fidem et fide quaerens intellectum», è oggi più che mai necessaria, per rendere possibile una sinfonia delle scienze e per evitare le derive violente di una religiosità che si oppone alla ragione e di una ragione che si oppone alla religione”.

È un circolo che riguarda anche il rapporto con l’altro. Una cura, quella verso l’uomo, che la Chiesa ha strutturato nella Dottrina Sociale. “L’impegno sociale della Chiesa – dice il Papa – non è solo qualcosa di umano, né si risolve in una teoria sociale”. La rivelazione è alla base della teologia, la rivelazione è alla base della Dottrina Sociale. “La trasformazione della società operata dai cristiani attraverso i secoli – dice il Papa – è una risposta alla venuta nel mondo del Figlio di Dio. […] I discepoli di Cristo Redentore sanno che senza l’attenzione all’altro, il perdono, l’amore anche dei nemici, nessuna comunità umana può vivere in pace; e questo incomincia nella prima e fondamentale società che è la famiglia”.

Una collaborazione a favore del bene comune anche con chi non condivide la nostra fede è “necessaria”, dice il Papa. Ma senza annacquare l’identità cristiana. “Dobbiamo – afferma Benedetto XVI – rendere presenti i veri e profondi motivi religiosi del nostro impegno sociale, così come aspettiamo dagli altri che ci manifestino le loro motivazioni, affinché la collaborazione si faccia nella chiarezza. Chi avrà percepito i fondamenti dell’agire sociale cristiano vi potrà così anche trovare uno stimolo per prendere in considerazione la stessa fede in Cristo Gesù”.

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