La spiritualità di Gaudì in mostra in Vaticano
Un’opera densa, perché piena di simboli. L’esatto contrario di molte cattedrali moderne, spoglie, geometriche, nelle quali a malapena si riconosce l’altare. Tanto che c’è chi ipotizza che è proprio nella freddezza di queste cattedrali, nelle loro spigolature, che un sacerdote può perdere la fede in Dio. Tre sono i libri dai quali Gaudì ha tratto ispirazione per la sua monumentale opera: il libro della natura, il libro della Sacra Scrittura e il libro della Liturgia. Da lì è partito per il suo intreccio architettonico, unendo realtà del mondo e storia della salvezza. C’è molto di liturgico nell’opera di Gaudì, molta attenzione per il dettaglio sacro, per il modo in cui la narrazione biblica viene resa presente nella liturgia.
Sotto le celeberrime guglie della Sagrada Famiglia, una chiesa sorta al centro di un chiostro e concepita come un luogo all’interno di un giardino (il Paradiso terrestre) nel quale Dio e l’uomo possono parlarsi faccia a faccia. Il chiostro non è dentro, come in tutta l’arte cristiana, ma è intorno. E fuori del chiostro, il deserto. Per Gaudì, anche Barcellona era deserto. Avanti negli anni, si fece “monaco nella città”, con una vita di una semplicità disarmante, in una casetta a ridosso del cantiere. Ma ogni giorno la Sagrada Família cresceva di nuove pietre e lui gridava alla sua città che la nuova creazione è già iniziata, che il deserto inizia a fiorire. Anche dentro l’edificio sacro, ci sono pietre, alberi e vita umana: tutta la creazione doveva convergere nella lode divina. Allo stesso tempo, portò fuori i “retabli”, per porre davanti agli uomini il mistero di Dio rivelato nella nascita, passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo. In questo modo, attraverso l’arte, Gaudì ha superato la scissione fra coscienza umana e cristiana.
Non lo ha fatto con le parole o con la liturgia, lo ha fatto con la regolarità delle pietre. Consacrare la Sagrada Familia rappresenta un segno importante non solo per la Spagna, che vive un momento di spinta fortemente laicista, ma per tutta l’Europa. Il solo vedere a distanza la chiesa dà un forte senso di sacro, come un vero e proprio richiamo. Era nelle intenzioni di Gaudì. Le torri campanarie sono ciò che impressiona di più e subito chi per la prima volta si accosta alla Sagrada Família. Ce ne sono quattro per ciascuna delle due facciate laterali, In tutto dovranno essere diciotto: altre quattro sulla facciata principale; altre cinque sopra la crociera centrale, con la più alta dedicata a Cristo e le altre agli evangelisti; e infine una sopra l’abside, dedicata alla Madonna. Su ogni torre sono scolpite le parole “Sanctus” e, verso la cima, “Hosanna in excelsis”.
Sono le parole del canto che introduce la grande preghiera eucaristica, la liturgia della Chiesa terrena e celeste che si celebra in ogni messa. Niente manca di senso, nella chiesa progettata da Gaudí. Che avrebbe anche voluto orientare la chiesa verso il sole che sorge. Non gli fu possibile: la Sagrada Família è sorta sull’asse nord-sud. Allora ideò due facciate laterali, quella a oriente dedicata alla Natività e quella a occidente dedicata alla Passione. Se Cristo è il “sole di giustizia” e “il giorno che il Signore ha fatto” (Salmo 118, 24), allora entrare nella basilica e partecipare alla liturgia è vivere “in” questo giorno. Gaudí, con le due facciate sulla Natività e la Passione, interpreta anche la Chiesa come “passaggio”.
Mentre il sole che è Cristo passa attraverso la Sagrada Família da oriente a occidente, dalla nascita alla morte redentrice, la città degli uomini – a cominciare da Barcellona situata prevalentemente a ovest della basilica – è chiamata a fare il cammino inverso, dalla morte alla nuova nascita. Una simbologia che racconta a fondo anche questo Papa. Già da cardinale, Ratzinger aveva parlato di un’Europa che si era dimenticata delle sue radici. E che riparte dalla Sagrada Familia per far riscoprire Cristo alla Spagna iperlaicizzata e all’Europa. Puntando dritto al sSnodo sulla Nuova Evangelizzazione del 2012.